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Tra voto in decimi e giudizio
Le contrapposte ideologie del voto e del giudizio non aiutano a capire. La nota del Ministero che mantiene il voto in decimi per il primo quadrimestre neanche. Cerchiamo di fare chiarezza

Risale alla fine degli anni ’70 il dibattito sull’uso dei voti a scuola. Nel 1977, dopo più di un secolo di voti scolastici, la Legge 517 rivoluzionò tutto eliminando non solo i voti numerici ma anche gli esami di riparazione, le classi differenziali per gli alunni disabili e l’obbligo dei libri di testo. Ma sui quaderni gli “8½”, i “6+” e i “5--” continuavano ancora imperterriti, insieme ai “Bravo!”, “Benino” e “Maluccio”. Da allora nelle case dei genitori italiani cominciò ad arrivare la scheda di valutazione, che tutti continuavano a chiamare pagella, con le prime valutazioni che dovevano essere “adeguatamente informative”.
Ma, già dal primo anno di applicazione, l’anno scolastico 1977-78, emersero le “paroline magiche”: sufficiente, discreto, buono, scarso, mediocre... E se ne capiva pure il perché: senza i voti era difficile fornire un’indicazione univoca del livello di adeguatezza di un alunno rispetto a una scala di riferimento. La sequenza di questi aggettivi, con funzione di scala ordinata, soddisfaceva questa esigenza. Al punto tale che spesso si diceva: “ho preso due buono e due ottimo e quindi in totale mi viene distinto”.
Da quegli anni abbiamo assistito a una partita interminabile tra i fautori del voto (“è semplice e chiaro per tutti”) e i fautori del giudizio descrittivo (“permette di capire quello che si sa e come lo si sa”) sempre più sovrapposta con prese di posizioni ideologiche.
Finalità e strumenti della valutazione
In questo modo si è smarrito sempre più il merito della questione e si continua a fare confusione tra finalità e strumenti dei diversi modi di esprimere la valutazione scolastica.
In questo continuo oscillare del pendolo dal voto al giudizio eccoci giunti alla mini-norma che ripristina i giudizi nella sola scuola primaria (Art. 1, comma 2bis, del DL n. 22 del 2010) e alla successiva nota attuativa del Ministero dell’Istruzione del 1° settembre 2020: https://usr.istruzione.lombardia.gov.it/wp-content/uploads/2020/09/Valutazione-scuola-primaria-nota-Bruschi.pdf
Quest’ultima nota sembra animata dall’intenzione di tranquillizzare le scuole sul fatto che la reintroduzione del giudizio interferirà il meno possibile con le abitudini consolidate. Grazie a un'astuta (ma discutibilissima) interpretazione della norma la nota, firmata dal Capo Dipartimento Marco Bruschi, permette alle scuole di continuare a esprimere la valutazione con i voti in decimi nel primo quadrimestre, rimandando il “giudizio descrittivo” al termine dell’anno scolastico. Ma, anche dopo la norma e la nota, la confusione resta.
Eppure non sarebbe così difficile chiarire i termini del problema. Provo a dare il mio contributo nel modo più semplice possibile.
La valutazione scolastica individuale sommativa risponde a due principali finalità:
1. DESCRIZIONE. Offrire una descrizione di quello che un alunno sa, o sa fare o, nel linguaggio attuale, delle competenze che ha raggiunto (ad esempio: scrive correttamente)
2. POSIZIONAMENTO. Assegnare, per ogni disciplina, un livello sintetico di preparazione di un alunno su una scala definita (ad esempio: correttezza grammaticale: 5 su 5, cioè: livello massimo)
Entrambe queste finalità possono anche essere perseguite utilizzando una descrizione verbale. Per esempio, se io dico: “Viviana scrive in modo formalmente corretto ma talvolta i suoi testi sono confusi. In quinta classe non ha ancora pienamente raggiunto l’obiettivo di una scrittura sempre chiara e intellegibile”.
In questo testo c’è una descrizione, chiara anche se parziale, delle competenze raggiunte insieme a un’indicazione del posizionamento dell’alunna rispetto a quello che è ragionevole aspettarsi.
Probabilmente un insegnante navigato direbbe che questa seconda indicazione, se fosse espressa con un voto, equivarrebbe a un “5”, o giù di lì.
Utilizzando un voto invece, o una sequenza ordinata di aggettivi, è possibile esprimere in modo più semplice il posizionamento di Viviana ma non possiamo in alcun modo informare sulle competenze acquisite né su quelle che, con un po’ di impegno, possono essere facilmente raggiunte. A meno ché non disponiamo di un sistema di descrittori, completi e affidabili, che definiscono un certo numero di “profili tipici”, ordinati dal più elementare al più avanzato, e riferiti a un determinato campo disciplinare. È il caso della competenza comunicativa in una lingua diversa dalla madrelingua, nelle nostre scuole prioritariamente l’Inglese, che, attraverso l’attribuzione di un unico voto / livello, consente di fornire simultaneamente una valutazione descrittiva della competenza linguistica raggiunta insieme ad un preciso posizionamento del soggetto rispetto a una scala composta da 6 livelli (A1, A2, B1, B2, C1, C2).
Si può rinunciare al posizionamento?
Qualcuno propone di rinunciare del tutto alla funzione di posizionamento della valutazione, sostenendo che implichi inevitabilmente una logica competitiva e comporti spesso problemi psicologici non trascurabili. Le motivazioni sono fondate ma per arginare la competitività e il rischio dell’umiliazione dobbiamo fare ricorso ad altri sistemi rispetto all’eliminazione tout-court del posizionamento. Se infatti vi si rinuncia, si disattende la legittima esigenza di sapere “a che punto si è”. Ed è sempre così in ogni tipo di valutazione.
In sintesi
La valutazione individuale, cosiddetta “sommativa”, dovrebbe assolvere a entrambe le sue funzioni: descrizione e posizionamento. Per la prima funzione si possono utilizzare descrittori, più o meno codificati o testi più liberi che tratteggiano lo spettro delle competenze conseguite da ogni alunno e di quelle che sono in via di maturazione. Per la seconda, altrettanto importante della prima, è assolutamente inutile, se non ridicolo, sostituire i voti con qualsiasi altra scala ordinata.
Se le cose stanno così, dire che nel primo quadrimestre si devono utilizzare i voti in decimi mentre al termine dell’anno occorre passare al “giudizio descrittivo” non aiuta a capire. Se, infatti, ci riferiamo alla funzione descrittiva della valutazione non ha alcun senso parlare di voto, né al primo quadrimestre né al termine dell’anno. Se, invece, ci si riferisce alla funzione di posizionamento (rispetto a una scala che andrebbe esplicitata) l’unico modo che abbiamo per abbandonare il voto è quello di sostituirlo, più o meno surrettiziamente, con una scala di termini o simboli.
Ancora due postille
La prima riguarda il “veicolo” della valutazione scolastica descrittiva. Credo infatti che, molto semplicemente, oltre a brevi testi scritti, ben calibrati, per descrivere le competenze di ogni alunno, sia utile il buon vecchio colloquio di restituzione del documento di valutazione che dovrebbe proprio servire a chiarire, ai genitori e agli stessi ragazzi, a che punto sono e come possono fare per migliorare.
La seconda è un ideale che abbiamo di fronte: costruire nel tempo, nelle discipline in cui è possibile, dei “quadri di riferimento” attendibili, dei criteri standard, analoghi a quello che abbiamo per la lingua straniera, il cosiddetto QCER, con i suoi 6 livelli.