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Storie di accoglienza

Il dizionario pedagogico di ogni educatore contiene le parole fiducia, ascolto, empatia, cooperazione, cura. In una parola, accoglienza, un’accoglienza di storie

di Gianfranco Staccioli03 agosto 20221 minuto di lettura
Storie di accoglienza | Giunti Scuola

L’ accoglienza al nido è anche un’accoglienza di storie. Sono le storie delle persone che vi abitano, le storie degli oggetti che lo arredano, le storie degli ambienti di vita, interni ed esterni. Ogni persona è portatrice di tante storie: quelle vissute, quelle ascoltate, quelle pensate o immaginate, quelle che riguardano il passato o quelle rivolte al futuro. Accogliere le storie è come raccogliere in sé le memorie, le aspirazioni, le preoccupazioni che hanno agitato altri o che sono ancora presenti in noi. “La prima volta che…” potrebbe essere il titolo della storia di un’accoglienza, vissuta o ricordata da persone diverse. Ascoltiamo tre voci che ci raccontano la prima volta che per loro è iniziata l’esperienza dell’accoglienza in un nido.

Tante storie

Una mamma porta il suo piccolo in braccio, l’educatrice va verso di lei. Tre voci silenziose raccontano senza parole alcuni loro pensieri.

La prima. “Farò bene o non farò bene a lasciare il bambino da solo? Avranno cura di lui qui, come ce l’ho avuta io nei suoi confronti, nei primi mesi della sua vita?”.
La seconda. “Devo sforzarmi di non essere precipitosa. Sorrido, con calma. Il piccolo sentirà che non voglio fargli del male, che lo aiuterò quando si sentirà abbandonato?”.
La terza. “Mi tengo stretto al collo della mamma. Perché devo staccarmi per andare con quella signora?”.
Una mamma, un’educatrice, un bambino: pensieri, sensazioni, emozioni, ricordi che si articolano in tre modi diversi. Sono pensieri senza parole, sono storie che potrebbero essere narrate in un altro momento, anche dopo anni, e che potrebbero avere come titolo “La prima volta che…”.
In tutte e tre queste storie prevale il sentimento dell’incertezza. Ho fatto bene? Ce la farò? Cosa succederà? Le storie di vita si vengono facendo e non si concludono mai. L’accoglienza al nido è una storia aperta, dove l’incertezza può essere mitigata e controllata. Il dizionario pedagogico di ogni educatore contiene le parole fiducia, ascolto, empatia, cooperazione, cura… In una parola, accoglienza.
Accogliere è costruire delle storie assieme, cercando di allentare le incertezze e le difese, provando a mettersi “nei panni” degli interlocutori. Il mestiere dell’educatore prevede questi passaggi, quello di genitore o quello di bambino non li prevede. O per lo meno non c’è stato per loro un lavoro di formazione relazionale per diventare esperti di comunicazione e di educazione.

Primo giorno

Nell’ingresso del nido ci sono foto e immagini, gradevoli a vedere. Ci sono indicazioni scritte e una frase che dà il benvenuto. Una mamma arriva con il bambino in braccio e lo deve allattare prima di lasciarlo. Si guarda intorno: c’è una panchina adatta ai bambini. Si siede lì, sistemandosi alla meglio, e compie il suo rituale amorevole.
La panchina è troppo stretta per un adulto ma la madre trova il modo di arrangiarsi. Chi avrebbe dovuto pensare a mettere un sedile adatto anche agli adulti? Dove comincia lo spazio educativo al nido? Nell’ingresso? Nel vialetto che si percorre per entrare? Al cancello esterno?
L’accoglienza è anche prevedere le situazioni di incertezza e di necessità degli altri, è predisporre materialine contesti perché vi sia benessere, è far sentire ai genitori e ai parenti dei bambini che anche loro sono stati pensati. Sono convinzioni semplici da enunciare, ma anche complesse quando si devono concretizzare nel quotidiano, in particolari che a un occhio inesperto potrebbero sembrare di scarsa importanza.
Per esempio prevedere una seduta per una mamma che allatta. Il particolare contiene il generale: potrebbe essere un difficile motto da mettere in pratica.

Predisporre l’accoglienza si dimostra più complesso di quanto potrebbe immaginare chi non è del mestiere.

Ogni giorno

Predisporre l’accoglienza si dimostra più complesso di quanto potrebbe immaginare chi non è del mestiere. Non solo perché in ciascuna persona si agitano storie individuali, non solo perché ci sono oggetti e ambienti che devono parlare e declinare in modo concreto i verbi dell’accoglienza, ma soprattutto perché l’accoglienza non riguarda il primo giorno del nido.
Accogliere è un verbo complicato perché deve essere agito ogni giorno, in tutto l’anno, ed è anche un verbo che va coniugato all’infinito: non c’è un momento in cui l’accoglienza possa essere messa da parte. Accogliere è una modalità di vita e di lavoro. È il quotidiano infinito del lavoro educativo, perché accogliere significa occuparsi delle persone. E le persone cambiano, assieme alle loro esigenze, ai loro pensieri, alle loro convinzioni.
I bambini sono persone (come ha affermato Elinor Goldschmied, anche attraverso il titolo del suo libro Persone da 0 a 3 anni), e persone sono i colleghi, le operatrici e gli operatori che a vario titolo intervengono nel sistema nido. Persone sono le famiglie con le quali c’è da costruire ascolto reciproco, c’è da dare spazio alla narrazione e al dialogo. Nel nido c’è da fare un costante sforzo per darsi tempi e spazi necessari per incontri intimi con le famiglie, che hanno limiti oggettivi legati al lavoro, agli impegni e a quant’altro. C’è bisogno di pensare a come distribuire delle situazioni raccolte per ascoltare le narrazioni reciproche, per condividere le storie silenziose dei bambini, per costruire, fra adulti, una storia delle storie, attraverso un processo che può diventare una “storia” formativa anche per ciascuna delle persone che si trovano coinvolte. Il che rende l’accoglienza un traguardo ambizioso, quasi utopico. Ma la realizzazione di utopie concrete è il compito di chi si occupa di educazione.

“Accogliere” è un verbo complicato perché deve essere agito ogni giorno.

 

Nido d'infanzia

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