Siamo tutti figli di un viaggio di migrazione

Parlare ai bambini di migrazioni fra stereotipi, esperienze personali e viaggi familiari e scoprire insieme che siamo tutti un po’ migranti

di Carlo Marconi24 dicembre 20194 minuti di lettura
Siamo tutti figli di un viaggio di migrazione | Giunti Scuola
Il ritmo della conversazione è serrato, ma i toni sono pacati e distesi. A un tratto, però, si entra nel cuore dell’argomento, si toccano gli aspetti più pungenti e delicati della questione e allora il volto si fa serio, lo sguardo si fa cupo e il tono perentorio. Non c’è alunno, nelle classi che incontro in giro per le scuole dell’Italia, che non abbia sentito frasi pesanti e discriminatorie nei confronti degli immigrati. Chiedo loro che cosa ne pensano e nessuno si sbilancia. Qualcuno abbassa gli occhi, qualche altro cerca lo sguardo della maestra, altri ancora, titubanti, scuotono la testa. Poi c’è sempre una bambina che comincia a dire che quelle parole non sono giuste.
“Sono frasi cattive, ingiuste, disumane, razziste”, le fanno eco in ordine sparso i suoi compagni.
“Son persone come noi”.
“Se succedesse a noi, non saremmo contenti di essere trattati così”.
“Loro cercano solo di salvarsi dalla guerra, dalla morte. Noi dobbiamo essere ospitali”.
 

Pensieri dei bambini sul mondo

Noi e loro, loro e noi. Alla fine qualcuno dice che, insomma, i migranti non possono essere ospitati tutti quanti in Italia, anche gli altri Stati europei devono fare la loro parte. Ascolto le voci bambine e dietro alle loro frasi fanno capolino le parole degli adulti che, per pigrizia o per egoismo, spesso rifuggono la complessità e si accontentano di sbrogliare le matasse con formule semplici, con soluzioni sbrigative. Allora parliamo anche di numeri, di statistiche, di percentuali nel tentativo di decostruire quegli stereotipi che sono alla base di atteggiamenti xenofobi, di comportamenti inospitali e intransigenti. Così scopriamo che partire, muoversi, cercare un luogo dove stabilirsi è da sempre un’esperienza comune a tutti gli uomini, è agire imprescindibile dell’essere umano. E mi torna alla mente la bellissima pagina di Patrick Chamoiseau: “Non c’è tribù, nazione, cultura o civiltà che prima o poi non sia sciamata, spinta dal desiderio o dalla necessità. Che in un momento della sua storia non abbia visto una parte di sé andare a impollinare il mondo. O che non abbia accolto o non sia stata costretta ad accogliere ciò che proveniva da un qualche angolo di mondo, un mondo da cui prendere, un mondo cui dare, ergendosi ad asilo e rifugio, o richiedendo asilo e rifugio. Non una”.

 

Da sempre gli uomini si spostano

Sciamare e impollinare, come le api. Una contaminazione feconda che fa il mondo più colorato e più ricco. Nel libro Fratelli migranti Chamoiseau riconduce l’esperienza umana nell’ambito dei fenomeni naturali e io ripenso alle rondini della mia infanzia. Per me, bambino, le migrazioni altro non erano se non il volo degli uccelli che partivano verso luoghi dove regnava ancora l’estate. Quale audace esercizio di libertà praticano queste sapienti creature! In autunno partono verso i paesi caldi. Migrano per sopravvivere, per garantire a loro stesse e alla propria specie un futuro sostenibile e nessuno le ferma. Così, allo stesso modo, hanno fatto gli uomini nel corso della storia, della Grande Storia che si studia sui libri e della storia personale di ciascuno di noi.

 

Alzi la mano chi…

Per tentare di dimostrarlo, invito i bambini a rispondere a tre domande alzando la mano. La prima invita coloro che sono nati nella città in cui ci troviamo ad alzare la mano. Tutti i bambini restano col braccio alzato. Sembra quasi che si sforzino, con orgoglio, spirito di ostentazione e grande sicurezza, di sventolare questa mano che li fa sentire parte di una rassicurante maggioranza. Un solo bambino non lo fa: è nato altrove ed è dispiaciuto. I compagni lo guardano e cercano di fargli capire, sollevando le spalle, che non ha colpe, ma lui abbassa gli occhi deluso. Del resto, racconto che neppure io sono nato nella città in cui abito, mi sono allontanato di ben 300 chilometri, sono un migrante; conosco bene il senso di spaesamento, il non sentirsi a casa in nessun luogo.
Poi invito i bambini a pensare al luogo di nascita dei loro genitori: coloro che hanno entrambi i genitori nati nel luogo in cui ci troviamo possono tenere il braccio alzato. Ebbene, metà dei presenti, maestre comprese, devono ammainare il braccio. Il terzo passaggio chiede di rivolgere l’attenzione al luogo di nascita dei nonni . Una sola bambina resta col braccio alzato. È delusa e la consolo dicendole che tra i bisnonni e i trisnonni troverà anche lei le radici della sua migrazione. È proprio così! Se ci volgiamo all’indietro e ripercorriamo a ritroso la storia della nostra famiglia, andiamo a sbattere il naso, tutti quanti, contro un viaggio di migrazione. La bambina sorride: possiamo tirare un sospiro di sollievo.
“Siamo tutti migranti! Tutti figli di un viaggio di migrazione!”

 

 

 
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