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“Quando un bambino scrive....”: Emilia Ferreiro e Ana Teberosky
Ogni volta che mi approccio a una prima classe o per l’inserimento di un bambino non autoctono, utilizzo le loro ricerche per comprendere gli stadi di concettualizzazione della lingua

Ho letto per la prima volta i nomi di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky, e scoperto il loro lavoro, attraverso un libro di Clotilde Pontecorvo – La costruzione della lingua scritta nel bambino, edito da Giunti nel 1985 – nei primi anni ’90 durante la preparazione a un concorso. Devo ammettere che ne sapevo davvero poco delle teorie di acquisizione della lettoscrittura.
Successivamente una seconda lettura, più consapevole e supportata dall’esperienza, mi ha così tanto incuriosita da farle diventare una fondamentale chiave di lettura del mio cercare risposte. In quel periodo stavo collaborando a una ricerca sulla concettualizzazione della lingua scritta nel bambino bilingue condotta dalla professoressa Franca Rossi, docente dell’Università La Sapienza di Roma, che mi aveva fatto riscoprire le teorie delle due ricercatrici argentine. Fino ad allora non ero riuscita a trovare risposte ai tanti dubbi e perplessità che mi avevano spinta a cercare nuove strade e che derivavano soprattutto dal metodo di insegnamento della lettura e della scrittura.
L’esperienza di insegnante precaria – periodo in cui ho “ripetuto” più volte la classe prima – mi aveva aiutata a osservare e utilizzare diverse modalità d’insegnamento, a paragonarle tra loro, e resa maggiormente consapevole di ciò che poteva essere riformulato e rivisto. Leggendo gli studi delle due ricercatrici è stato interessante scoprire come il processo di acquisizione del codice si sviluppi gradualmente, attraverso tappe ben precise che non vengono raggiunte da tutti i bambini nello stesso momento perché – in base agli stimoli dell’ambiente in cui vivono e all’esposizione alla lingua scritta – possono trovarsi a diversi livelli di concettualizzazione.
Proprio per questo l’insegnante, consapevole della gradualità dell’apprendimento, a seconda dei casi deve utilizzare strumenti e strategie differenti che facilitino la progressione “naturale” della concettualizzazione, senza anticipare ma favorendo il processo attraverso la creazione di situazioni stimolanti e l’attivazione di proposte che tengano conto di quella eterogeneità cognitiva che i bambini esprimono.
Il desiderio di abbandonare un approccio prettamente sillabico e le tante difficoltà riscontrate nei bambini mi hanno spinta alla ricerca di un metodo rispettoso dei loro normali tempi di acquisizione e portata a rileggere gli scritti di uno dei miei “maestri” preferiti, Mario Lodi, fino poi a scoprire e studiare la pedagogia Freinet.
Da allora, ogni volta che mi approccio a una prima classe o per l’inserimento di un bambino non autoctono, utilizzo le ricerche Ferreiro e Teberosky per comprendere gli stadi di concettualizzazione della lingua. In realtà l’uso delle loro ricerche e dei livelli di concettualizzazione della lingua scritta non può essere improvvisato ma deve essere il risultato di un preciso e dedicato lavoro di progettazione educativa. Un lavoro che richiede un completo cambiamento di prospettiva sulla complessità della lingua scritta e sui modi con cui i bambini cercano di interpretarla. Adottando poi per l’insegnamento della lettura e della scrittura il Metodo Naturale mutuato da Célestin Freinet, ritengo utilissimo comprendere fin da subito lo stadio di concettualizzazione in cui si trova ogni singolo bambino.
Oggi l’analisi delle scritture spontanee durante i primi giorni di inserimento in classe prima – ma anche più precocemente, nella scuola dell’infanzia – forniscono informazioni preziose che mi aiutano a calibrare una didattica davvero “a misura del singolo bambino”. Gli studi di Ferreiro e Teberosky hanno anche contribuito a rafforzare le teorie di Freinet riguardo al percorso che ogni bambino compie per arrivare alla scrittura convenzionale e a valorizzarne le conoscenze prima che padroneggi la lingua scritta.
Gli incontri con Ana Teberosky all’Università di Barcellona nel maggio 2014 e successivamente a Torino nell’ottobre 2019 restano per me momenti magici di confronto e di crescita personale e professionale.