Star bene a scuola: l'empatia dell'insegnante

Come funziona il cervello emotivo dei bambini?

Che cosa comunica il nostro sguardo? - “Pillole” per star bene a scuola

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

L’appraisal è un meccanismo valutativo e di comprensione del mondo e di sé basato sul soppesare le varie conoscenze e giungere a personali conclusioni su chi sono, come va il mondo, perché accadono le cose, cosa fare se…Tali capacità di riflettere e costruire le personali convinzioni si affinano nel tempo. Nella giovane età si imparano “riflettendo”: non con la riflessione “cerebrale”, ma come in uno specchio. L’insegnante contrariata si arrabbia? Allora il bambino/la bambina apprende che quella è la reazione “giusta” o comunque tipica in quelle situazioni.Viceversa, l’insegnante si ferma nella sua attività pianificata e cerca di capire il punto di vista dei/delle bambini/e incluse le loro emozioni? In tal caso tale atteggiamento attento all’altro e ai processi piuttosto che a sé e ai risultati stimolerebbe maggiori capacità empatiche, probabilmente costruendo processi duraturi e nella contingenza risolvendo anche le eventuali difficoltà dell’ipotetico/a insegnante arrabbiato con bambini/e poco attenti/e e partecipi.

L’INSEGNANTE EMPATICO

Da una situazione di incomprensione si può giungere a una sintonizzazione e trasmettere capacità empatiche di life long learning, utili a vivere meglio nel presente e ad affrontare più sentitamente e positivamente il futuro

<ul><li>Bruner, J. S. (1990). Acts of meaning. Harward University Press: Cambridge (trad. it., La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1992).</li><li>Gross, J. J. (2015). Emotion regulation: Current status and future prospects. Psychological Inquiry, 26, 1-26.</li><li>Hatfiled, E., Cacioppo, J. R., Rapson, R. L. (1993). Emotional contagion. Current Directions in Psychological Science, 2, 96-99.</li><li>Jennings, P. A. (2015). Early childhood teachers’ well-being, mindfulness, and selfcompassion in relation to classroom quality and attitudes towards challenging students. Mindfulness, 6, 732-743.</li><li>Neff, K. (2003). Self-compassion: An alternative conceptualization of a healthy attitude toward oneself. Self and Identity, 2, 85-101.</li><li>Segrada, H. (2008). La comunicazione empatica nella scuola dell’infanzia. Lanciano (CH): Carabà.</li></ul>

È evidente che tali proposte, o altre comunque ispirate a favorire il “sentire/capire ciò che l’altro prova”, risultano più efficaci e forse “naturali” quanto più l’insegnante in primis ha sviluppato sue capacità empatiche. Queste potrebbero risultare favorite dall’autocompassione ovvero dallo stare presso di sé e ascoltarsi.Essere auto-compassionevoli significa trattarsi con gentilezza, preferire il capirsi al giudicarsi, vivere i propri risultati come altro da sé (Neff, 2003). Tale attitudine può essere sviluppata e promossa attraverso specifici percorsi (Jennings, 2015) e coltivata individualmente nei momenti difficili. Per esempio, dopo una difficoltà o insuccesso dirsi “merito un po’ di stacco e riposo…” e preferire un riferimento a ciò che è stato (non ho fatto o detto…) piuttosto che a ciò che (non) si è (“non sono capace…”, “sono il solito…”) e pensare che “io non sono i miei risultati”, che “ciò che mi accade è altro da me”.

Comunicare, cioè etimologicamente “mettere in comune”.


 Che cosa? La voglia di imparare, di scoprire, di crescere insieme, di costruire il proprio mondo e la personale identità, di divertirsi.


 Ma come condividere il mondo e le conoscenze adulte con quelle di giovanissime menti?


 Una soluzione sta nell’empatia, cioè “nel sentire” ciò che l’altro prova.


 Come è possibile? Siamo già spesso sopraffatti dalle nostre emozioni e dal

Comunicare, cioè etimologicamente “mettere in comune”.Che cosa? La voglia di imparare, di scoprire, di crescere insieme, di costruire il proprio mondo e la personale identità, di divertirsi.Ma come condividere il mondo e le conoscenze adulte con quelle di giovanissime menti?Una soluzione sta nell’empatia, cioè “nel sentire” ciò che l’altro prova.Come è possibile? Siamo già spesso sopraffatti dalle nostre emozioni e dalla difficoltà a regolarle (Gross, 2015), si può provare ciò che l’altro/a prova e aiutarlo/a ad affinare le stesse capacità empatiche?

Comunicare, cioè etimologicamente “mettere in comune”.Che cosa? La voglia di imparare, di scoprire, di crescere insieme, di costruire il proprio mondo e la personale identità, di divertirsi.Ma come condividere il mondo e le conoscenze adulte con quelle di giovanissime menti?Una soluzione sta nell’empatia, cioè “nel sentire” ciò che l’altro prova.Come è possibile? Siamo già spesso sopraffatti dalle nostre emozioni e dalla difficoltà a regolarle (Gross, 2015), si può provare ciò che l’altro/a prova e aiutarlo/a ad affinare le stesse capacità empatiche?

Pare che la natura ci aiuti, almeno un po’, in questo. Esiste infatti un meccanismo di “contagio emotivo” fondato sui neuroni specchio che favorirebbe la nostra vicinanza con il vissuto emotivo dell’altro (Hatfiled, Cacioppo e Rapson, 1993).Tuttavia, a volte, le emozioni che noi proviamo non sono affatto quelle esperite da chi ci sta accanto e interagisce con noi. Per esempio, un insegnante potrebbe sentirsi frustrato e arrabbiato per la poca disciplina e collaborazione che riscontra, mentre il bambino/la bambina potrebbe essere semplicemente annoiato e stanco. La prima è una emozione attivante che motiverebbe a proseguire e agire, mentre la seconda, se condivisa, farebbe ritrarre dal compito e dalla situazione: che fare allora?

Da una situazione di incomprensione si può giungere a una sintonizzazione e trasmettere capacità empatiche di life long learning, utili a vivere meglio nel presente e ad affrontare più sentitamente e positivamente il futuro

IL REFLECTED APPRAISAL

TRASMETTERE APERTURA

Una soluzione è data dalla comunicazione empatica (Segrada, 2008). Riprendendo l’esempio appena tratteggiato, la proposta sarebbe di sospendere l’attività e intervenire sul piano emotivo/comunicativo, per esempio con espressioni del tipo “Faccio fatica a proseguire a parlare se vi distraete di continuo. Capisco che siete stanche/i. Tuttavia, potreste concentrarvi ancora solo 5 minuti?”, per focalizzarsi sulle emozioni e sui comportamenti praticabili e trasmettere apertura.In aggiunta, e meglio ancora, si potrebbero strutturare attività che elicitino tali pensieri. Fra queste, per bambini/e della scuola dell’infanzia, sarebbero da preferire delle storie, prima da leggere e poi da creare. I racconti coinvolgono, fanno immedesimare con i personaggi e veicolano stati emotivi (Bruner, 1990). Per esempio, si potrebbe spezzare l’attività con la lettura di un racconto che presenti una storia vicina alla situazione frustrante vissuta dall’insegnante e dai bambini (infatti, ci si stressa sia ad annoiarsi che ad arrabbiarsi). Poi a gruppetti i/le bambini/e potrebbero essere invitati a “fare finta di….” essere l’insegnante o un bambino che si distrae, disturba, sbadiglia. Infine, magari con più grandi, si potrebbero proporre attività di elaborazione e racconto, cioè di costruire la loro storia, per quanto possibile riportandola alla realtà presente.

La comunicazione empatica

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