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La nascita di Cipí

In occasione dei 90 anni di Mario Lodi, vi proponiamo il primo capitolo di "Cipí" (1961), una della sue favole più belle e più note. Leggiamo insieme anche le pagine introduttive scritte da Mario Lodi per la nuova edizione del testo da poco uscita per Einaudi.

di Redazione GiuntiScuola16 febbraio 20126 minuti di lettura
La nascita di Cipí | Giunti Scuola

A cinquant'anni dalla prima edizione, torna in libreria Cipí, la favola scritta da "Mario Lodi e i suoi ragazzi" (Einaudi Ragazzi, San Dorligo della Valle, TS, 2011). Nelle pagine introduttive, il maestro Mario spiega perché, dopo tanti anni, questo libro sia ancora il più letto e il più amato dai bambini e dagli insegnanti, che continuano a intrattenere con lui una bella corrispondenza.

Un libro speciale

Cipí è un libro speciale, nato in una piccola scuola di campagna il primo giorno di scuola.
Ha avuto una lunga gestazione, quasi due interi anni di scuola: la prima e la seconda elementare. A sei anni tutti i bambini non sanno scrivere ma sanno parlare e questa poteva essere l'occasione per sperimentare un mio metodo semplice. Siccome i bambini a sei anni sanno parlare correttamente la loro lingua veniva naturale ascoltarli mentre raccontavano le storie della loro prima vita sociale: come giocavano, quale era il lavoro del loro papà e della mamma, quali erano i cibi che preferivano.
Tutti i giorni parlavamo di quello che succedeva intorno a loro, quasi giocando.
Infatti, in una discussione con i bambini circa le loro attività io feci loro questa domanda: «Perché siete venuti a scuola?»
«Per giocare», fu la risposta.
Io, maestro, ascoltavo e organizzavo il dialogo che era il racconto vero della loro vita.
Ci guardammo attorno: la nostra aula era ampia e un po' vecchia, aperta da un lato da una finestra grande come il cielo, ma tutto era tranne che un luogo per giocare.
Ricordo un episodio: mentre i bambini erano attenti alla discussione che stavamo facendo, uno di loro si alzò dal proprio banco e andò, senza parlare, alla grande finestra che sembrava aprirsi sul mondo.
Al mio moto di sorpresa un altro suo compagno fece altrettanto.
A uno a uno uscirono tutti dal banco per andare a guardare che cosa succedeva sui tetti di fronte e io, il maestro che doveva comandare come imponeva la vecchia scuola trasmissiva, fui trascinato dalla loro curiosità nel dilemma: lasciar fare o reprimere, ascoltarli o punirli?
Questo era il mio dubbio.
Ho cercato di resistere perché la scuola di allora aveva una gerarchia di ruoli e valori in contrasto con l'esigenza dei bambini.

A un certo punto ho deciso di cambiare cercando di interpretare un maestro che capiva i bambini veri e non li reprimeva come, invece, mi avevano insegnato nei convegni di formazione.
Allora mi alzai dal mio posto e pensai: «La scuola a cosa serve? Un piccolo gruppo di bambini può cambiarla, può trasformarla in un luogo di gioco?»
Mi alzai e andai in mezzo a loro a guardare il mondo dalla finestra. Cosi nasce Cipí : il mondo reale si trasformava con la loro fantasia negli episodi del pericolo del gatto, dell'innamoramento, dell'aiuto per chi si trova in difficoltà, delle tentazioni attuate dagli imbroglioni per incantarli; e tanti altri.
Man mano prendeva forma, sulla base delle esperienze, il mondo fantastico e morale di Cipí : un piccolo passero ricco di emozioni che saltellava davanti alla grande finestra.
L'insieme di questi valori forma il libro che si propone come rinnovata strenna per il nuovo anno rilanciando i valori attuali della democrazia.
Il maestro con questa esperienza, e non con i convegni, ha imparato che i bambini hanno una loro vita segreta, una loro filosofia. Su questa idea si fonda tutto il lavoro del suo impegno di insegnante e di educatore.
Ancora oggi i bambini in Cipí riconoscono i loro valori e le loro emozioni: la paura, la felicità, l'innamoramento, l'amicizia, la solidarietà, il dolore, la gioia.
Per questi motivi e per i valori che esprime dopo cinquant'anni è ancora valido e piace ai bambini e agli adulti che si riconoscono in lui.

Mario Lodi
Drizzona, luglio 2011

a cura di Emilia Passaponti: 16 Febbraio 2012 Sesamo didattica interculturale

Nascita di Cipí

C'era una volta (e c'è ancora) un piccolo paese disteso nel verde e al sole: nel paese c'era un palazzo alto alto e sul tetto del palazzo, nascosta sotto una tegola, una passera covava tre sue uova piccine, senza abbandonarle mai. Babbo passero pensava a procurarle il cibo volando dal nido alla campagna e dalla campagna al nido e sceglieva per lei i chicchi di grano più teneri e grossi e saporiti e quando glieli portava le diceva: – Porta pazienza! Ancora un po' e sarai mamma!

Un bel mattino di primavera la passera sentí: cric, cric..., allora alzò le ali e vide che erano nati tutti e tre.

– Come sono felice! – esclamò, e insieme con babbo passero spiccò il volo verso il cielo azzurro.

Al sole tiepido frullò le ali intorpidite, poi si alzò sopra i comignoli, più in alto della punta del campanile, più su del parafulmine, sempre più in su, nell'azzurro. Quindi si tuffò di nuovo verso il suo nido e passando gridò alle nuvole, al sole, alle rondini, al nastro d'argento che si snodava laggiú in mezzo ai prati verdi, ai fiorellini e ai fili d'erba, agli alberi che stavano maturando i frutti e ai pioppi che facevano la guardia, dritti come carabinieri sull'attenti, accanto al fiume.

– Sono nati! Sono mamma! Sono tre!

Tornata al nido, li osservò attentamente: com'erano belli, pur senza piume, i suoi figlioli! Allungavano il collo verso la mamma, aprivano il becco, chiamavano.

Uno, il piú piccino, era il più birichino: sbatteva le alucce e si girava di qua e di là come se il nido fosse troppo stretto per lui. I fratellini facevano: cip, cip, cip, con garbo, lui invece gridava: cipí, cipí e non smetteva mai.

– Ecco, lo chiameremo Cipí! – disse la mamma.

A sentire quel verso strano il babbo e la mamma gli dicevano: – Perché piangi?
– Cipí... cipí, voglio uscire di qui!... – gridava lui.
– Stai qui, ora ti copro con le mie piume calde, – gli sussurrava la mamma mentre lo scaldava con l'ala.

Gli altri due si addormentavano subito, invece lui si dimenava: – Cipí... cipí..., voglio uscire di qui!... – e ci voleva del bello e del buono e tutta la pazienza della mamma per convincerlo a dormire come i suoi fratellini.

E una volta che babbo e mamma non erano li, nudo com'era, saltò fuori dal nido e cominciò a girare per i tetti, finché, arrivato sul ciglio, guardò giù e gli girò la testa.

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