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Quando la scuola cerca i sentieri nel bosco

Ci vuole un ‘ponte’ per cucire una storia tra qui e là, per far sentir chi arriva da lontano meno perso e spaesato. In questa narrazione lo troviamo come per caso fra le pagine di un libro. Di Loriana Sperindio  

di Redazione GiuntiScuola30 gennaio 20195 minuti di lettura
Quando la scuola cerca i sentieri nel bosco | Giunti Scuola

Ci vuole un “ponte” per cucire una storia tra qui e là, per far sentir chi arriva da lontano meno perso e spaesato. E in questa storia, che assomiglia a quella di tanti bambini migranti, il “ponte” si trova come per caso fra le pagine di un libro.

La storia di Mohamed

Mohamed tiene gli occhi bassi. Gli altri bambini lo guardano curiosi.

Le insegnanti cercano il suo sguardo inutilmente. Mohamed per loro è un bambino un poco più grande degli altri, un paio d’anni appena, eppure in mezzo a quei ragazzini decenni sembra un adulto rimpicciolito.

I primi giorni di scuola per lui devono essere assai strani. Un mondo all’incontrario dove guardare dritto negli occhi l’adulto non è, come gli hanno insegnato, maleducazione, bensì rispetto. Mohamed obbedisce qui come obbediva nella sua scuola sperduta sulle montagne del Marocco dove il maestro insegnava solo il Corano ed è per questo che suo padre l’ha portato con sé. È orgoglioso di quel figlio bello, intelligente e vuole per lui più istruzione.

Ha raccontato nel suo italiano incerto di una moglie e figli più piccoli, di animali faticosi da accudire e di speranze condivise con un figlio già adulto che lavora con lui. Lavorano duramente, ma per Mohamed vorrebbe qualcosa di più.

Il bambino continua a guardarsi i piedi; solo quando crede che nessuno lo osservi, alza veloce lo sguardo e lampeggia occhiate nerissime, curiose, con un guizzo di stupore e ironia.

Col tempo apprende parole e consuetudini, lega poco con i compagni, li osserva dall’alto della sua vita, una vita in parte già adulta. Eppure ridiventa piccolo quando scopre giocattoli per lui nuovi . Rimane a lungo a far volare un aeroplanino di plastica imitando il verso del motore. Smette imbarazzato solo quando la maestra lo guarda.

La scuola è una scuola di donne: maestre, commesse, segretarie, la preside; anche il medico scolastico è donna. La sua insegnante coglie il suo spiazzamento. Gli parla di usi e costumi, di storie lontane e vicine, di come siano più le cose che uniscono di quelle che dividono.

Mohamed ora la guarda, ma resta guardingo, impara poco, nulla davvero lo interessa.

Non è l’intelligenza che manca, è la strada o meglio il ponte che unisce le rive a mancare; dobbiamo attraversare il fiume della diffidenza per incontrarci a metà strada , conoscerci, poter tornare indietro o proseguire.

E il ponte lo trova, per caso, in biblioteca.

Mohamed è musulmano e osserva i precetti della sua religione; quando in classe si svolgono le lezioni di religione cattolica, esce e frequenta un’attività alternativa con altri bambini.

Il gruppo è vario, ricco di diversità e l’insegnante ha come obiettivo didattico l’educazione alla convivenza civile.

Il piccolo gruppo oggi esce da scuola e va in biblioteca.

Mohamed cammina un po’ discosto con l’aria di chi è lì per caso e nulla ha da condividere con quel gruppo di bambini più piccoli di lui.

La biblioteca è piccola ma ha attrezzato uno spazio per i bambini: un bel tappeto, dei cuscini, tavolini colorati. I bimbi sono contenti, ricercano libri come tesori sotto le foglie, vanno indecisi di qua e di là, poi afferrano il libro, quello e solo quello, e lo esibiscono come un trofeo o lo stringono forte. Hai un bel cercare di convincerli che “ Le cattedrali neogotiche ” non è una lettura per loro e che “ Moby Dick ” è sì un libro meraviglioso e l’immagine in copertina con la balena promette forti emozioni, ma non è ancora venuto il momento per tali gioie.

Si cercano compromessi e poi tutti senza scarpe sul tappetone a leggere.

Oggi l’obiettivo è: ‘conosciamo come funziona la biblioteca e come è bello cercare, trovare e leggiucchiare qua e là un libro’.

Obiettivo non raggiunto, visto che Mohamed se ne va in giro con le mani in tasca e nessuna intenzione di scegliere un libro che comunque non riuscirebbe a leggere.

Proporgli un libro per il suo livello di comprensione della lingua vorrebbe dire umiliarlo con un libro per bimbi piccoli.

E quando si chiede sottovoce alla bibliotecaria se per caso ci sono dei libri in arabo si ottiene un diniego stupefatto.

Poi lo vedi seduto, chino su un grande volume, alzare la testa e srotolare un sorriso felice: “Guarda maestra, guarda!”

Un titolo a caratteri cubitali: ‘L’Islam’, con la foto di una moschea bianca e azzurra. C’è aria di casa tra quelle pagine. E lui orgoglioso fa vedere quelle belle fotografie di monumenti e paesaggi come se le avesse scattate personalmente.

"Posso portarlo a casa?".

La voce è una preghiera.

“Certo che puoi”.

Attento segue procedure e spiegazioni di rito. Impara veloce.

“Ce ne sono altri?”.

“Basta cercare, ma devi imparare a leggere. Nella mia lingua e anche nella tua. Una biblioteca custodisce storie e pensieri, dentro una biblioteca trovi tutto il mondo . Le biblioteche uniscono le persone perché le aiutano a capirsi”.

È ora di rientrare. Mohamed stringe il suo libro in una mano e con l’altra, per qualche metro, anche la mano della maestra.

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