Multicultura

Osservatorio Scuola Primaria • Anteprima novembre 2011

Scuola: sarà trascurata dal nuovo ministro?

L'illustrazione, come per le pagine di La Vita Scolastica di novembre 2021,&nbsp;&nbsp;è dei bambini e delle bambine della primaria IC Don Minzoni, Argenta (Ferrara).

Uno studio di qualche mese fa diceva che ci sono un milione e 350mila circa
 
 bambini italiani che vivono in povertà assoluta
 
 , e 2 milioni circa in povertà relativa.


 È un dato che ha avuto
 
 un grosso aumento dopo la pandemia
 
 . Negli anni successivi alla crisi del 2008 c’è stato un peggioramento continuo: si è passati dal 3,7 per cento al 12,5 per cento della platea infantile. Ossia da un bambino su venticinque a un bambino su otto.


 Questo dovrebbe essere l’elemento più significativo da tenere in mente quanto entriamo in classe, soprattutto se siamo in una scuola del Sud, e soprattutto se siamo in una scuola di regioni come la Campania e la Ca

Uno studio di qualche mese fa diceva che ci sono un milione e 350mila circa bambini italiani che vivono in povertà assoluta, e 2 milioni circa in povertà relativa.È un dato che ha avuto un grosso aumento dopo la pandemia. Negli anni successivi alla crisi del 2008 c’è stato un peggioramento continuo: si è passati dal 3,7 per cento al 12,5 per cento della platea infantile. Ossia da un bambino su venticinque a un bambino su otto. Questo dovrebbe essere l’elemento più significativo da tenere in mente quanto entriamo in classe, soprattutto se siamo in una scuola del Sud, e soprattutto se siamo in una scuola di regioni come la Campania e la Calabria dove tra povertà relativa e assoluta abbiamo quasi metà della popolazione infantile.Cosa vuol dire vivere in povertà assoluta? Che la famiglia non è in grado di provvedere ai bisogni essenziali, ovvero che più di 500mila under 15 l’anno scorso hanno ricevuto pacchi alimentari, e che altrettanti mancano di un’assistenza medica di base.Come si può affrontare quest’emergenza?Spesso immaginiamo che la scuola possa aiutare a compensare questo deficit collettivo drammatico. Ma la scuola non può e non deve fare tutto. La scuola si deve occupare soprattutto delle povertà educative, che sono ovviamente spesso l’esito di povertà materiali. Ma sbagliamo a pensare che debba essere la scuola, soprattutto la scuola per come è pensata oggi in Italia, a svolgere questo compito di supplenza.Quello che servirebbe invece per aggredire queste disuguaglianze strutturali è piuttosto un ministero dedicato all’infanzia. Molte associazioni e fondazioni – quello che si chiama privato sociale – come Save the children, Action Aid, Conibambini, Unicef si occupano di questa crisi che si è acuita negli ultimi anni, spostando il loro intervento dai paesi stranieri più poveri sulle aree più povere d’Italia: sud, periferie, aree interne. Ma questo interesse non basta; occorre un intervento pubblico strutturato.Come nel dopoguerraNel secondo dopoguerra italiano, dopo la sconfitta del fascismo, accanto a diverse iniziative private di assistenza all’infanzia – una riscoperta da poco, per esempio, sono i treni della felicità su cui c’è il bellissimo libro di Bruno Maida – si costituì un ministero: il Ministero dell’assistenza postbellica. Durò pochi anni, dal 1945 al 1947, e si occupò soprattutto dell’infanzia e dell’adolescenza distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale. Quello che caratterizzava quel ministero era la possibilità di mettere insieme politiche per l’istruzione con politiche sociali. L’idea alla base di quel ministero, e che dovrebbe animare un ministero del genere oggi, è che senza uguaglianza, senza giustizia sociale, senza un’infanzia vissuta dignitosamente, non c’è possibilità di costruire una democrazia degna di questo nome.Il senso di ingiustizia che i bambini poveri imparano a sentire a scuola, soprattutto nel confronto con altri bambini o con adulti che non sanno riconoscere queste povertà educative, è una tara che anche crescendo sarà difficile da dismettere. Per questo è necessario intervenire in modo radicale, quanto più abbiamo a che fare con i piccoli, perché quell’ingiustizia non sia vissuta o non sia vissuta come normale o immodificabile. 

Uno studio di qualche mese fa diceva che ci sono un milione e 350mila circa bambini italiani che vivono in povertà assoluta, e 2 milioni circa in povertà relativa.È un dato che ha avuto un grosso aumento dopo la pandemia. Negli anni successivi alla crisi del 2008 c’è stato un peggioramento continuo: si è passati dal 3,7 per cento al 12,5 per cento della platea infantile. Ossia da un bambino su venticinque a un bambino su otto.&nbsp;Questo dovrebbe essere l’elemento più significativo da tenere in mente quanto entriamo in classe, soprattutto se siamo in una scuola del Sud, e soprattutto se siamo in una scuola di regioni come la Campania e la Calabria dove tra povertà relativa e assoluta abbiamo quasi metà della popolazione infantile.Cosa vuol dire vivere in povertà assoluta? Che la famiglia non è in grado di provvedere ai bisogni essenziali, ovvero che più di 500mila under 15 l’anno scorso hanno ricevuto pacchi alimentari, e che altrettanti mancano di un’assistenza medica di base.Come si può affrontare quest’emergenza?Spesso immaginiamo che la scuola possa aiutare a compensare questo deficit collettivo drammatico. Ma la scuola non può e non deve fare tutto. La scuola si deve occupare soprattutto delle povertà educative, che sono ovviamente spesso l’esito di povertà materiali. Ma sbagliamo a pensare che debba essere la scuola, soprattutto la scuola per come è pensata oggi in Italia, a svolgere questo compito di supplenza.Quello che servirebbe invece per aggredire queste disuguaglianze strutturali è piuttosto un ministero dedicato all’infanzia. Molte associazioni e fondazioni – quello che si chiama privato sociale – come Save the children, Action Aid, Conibambini, Unicef si occupano di questa crisi che si è acuita negli ultimi anni, spostando il loro intervento dai paesi stranieri più poveri sulle aree più povere d’Italia: sud, periferie, aree interne. Ma questo interesse non basta; occorre un intervento pubblico strutturato.Come nel dopoguerraNel secondo dopoguerra italiano, dopo la sconfitta del fascismo, accanto a diverse iniziative private di assistenza all’infanzia – una riscoperta da poco, per esempio, sono i treni della felicità su cui c’è il bellissimo libro di Bruno Maida – si costituì un ministero: il Ministero dell’assistenza postbellica. Durò pochi anni, dal 1945 al 1947, e si occupò soprattutto dell’infanzia e dell’adolescenza distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale. Quello che caratterizzava quel ministero era la possibilità di mettere insieme politiche per l’istruzione con politiche sociali. L’idea alla base di quel ministero, e che dovrebbe animare un ministero del genere oggi, è che senza uguaglianza, senza giustizia sociale, senza un’infanzia vissuta dignitosamente, non c’è possibilità di costruire una democrazia degna di questo nome.Il senso di ingiustizia che i bambini poveri&nbsp;imparano a sentire a scuola, soprattutto nel confronto con altri bambini o con adulti che non sanno riconoscere queste povertà educative, è una tara che anche crescendo sarà difficile da dismettere. Per questo è necessario intervenire in modo radicale, quanto più abbiamo a che fare con i piccoli, perché quell’ingiustizia non sia vissuta o non sia vissuta come normale o immodificabile.&nbsp;

<a data-cke-saved-href="https://www.conibambini.org/osservatorio/stime-istat-sale-al-136-la-quota-di-bambini-e-ragazzi-in-poverta-assoluta/" target="_blank" href="https://www.conibambini.org/osservatorio/stime-istat-sale-al-136-la-quota-di-bambini-e-ragazzi-in-poverta-assoluta/">Stime Istat: sale al 13,6% la quota di bambini e ragazzi in povertà assoluta</a>, conibambini.org

Bambini e povertà assoluta: la scuola non può e non deve fare tutto