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Fare tana in classe: il rifugio di Lina

Lina ha trovato il suo spazio protetto e da lì guarda il nuovo mondo. I bambini hanno bisogno di luoghi intermedi per sostare, rifugiarsi, osservare. Di Antonella Sada 

di Redazione GiuntiScuola25 gennaio 20196 minuti di lettura
Fare tana in classe: il rifugio di Lina | Giunti Scuola

Lina ha tre anni e mezzo, non ha mai frequentato l’asilo nido e non parla per nulla l’italiano. Quando i genitori l’accompagnano a scuola per la prima volta Lina è molto spaventata, non vuole staccarsi dalla mamma e se ne sta nascosta dietro le sue gambe. Ogni tentativo dell’insegnante di avvicinarsi accentua la chiusura della bambina e causa pianti e urla molto forti. A nulla valgono i tentativi di calmarla con le parole né di distrarla con i giochi. La mamma è costretta a trattenersi a lungo, nonostante gli impegni di lavoro e le insegnanti sono preoccupate che questo inserimento inatteso, ad alcuni mesi dall’avvio dell’anno scolastico, comprometta l’andamento della vita di sezione. Dopo diversi giorni di inutili tentativi, accade però qualcosa: Lina nota che il tavolo delle insegnanti è stato coperto da un telo che arriva fino a terra e, con un movimento rapido, decide di andare lì sotto. Finalmente Lina non piange più e la mamma può serenamente allontanarsi.

Uno spazio tutto mio

Lina ha identificato quello spazio protetto agli sguardi come suo rifugio e così ogni mattina, dopo il saluto alla mamma, va a nascondersi lì. Ogni tanto, quando non pensa di essere notata, si sporge e osserva. Per lei quella tana rappresenta un luogo intermedio che concilia il bisogno di isolamento con la curiosità verso gli altri e il desiderio di far parte del gruppo: da dentro il rifugio può osservare ed ascoltare senza essere vista e senza che debba rispondere a richieste esterne.
Un giorno un compagno si avvicina al tavolo e infila un gioco all’interno della tana: Lina lo prende e, poco dopo, aprendo un pertugio nel telo, invita il bimbo ad entrare. Da questo primo passo ha inizio l’interazione con i compagni, in un crescendo che la conduce gradualmente ad accettare di uscire dal suo rifugio e prendere parte alla vita della sezione. Quello che sembrava un tempo ormai perduto è stato molto importante per Lina: all’interno di quello spazio delimitato si è sentita protetta e ha trovato gradualmente la sicurezza che le ha permesso di aprirsi agli altri. Inoltre nella tana, non potendo muoversi né giocare, Lina si è necessariamente concentrata sull’ascolto di ciò che succedeva all’esterno e, quando finalmente è uscita, si sono potuti notare i benefici di quell’ immersione sonora nella nuova lingu a.

Saper aspettare

Questa situazione critica ha evidenziato agli occhi dei docenti un bisogno molto forte nei bambini e non sempre assecondato dall’adulto: il bisogno di intimità . Spesso si considera così importante per l’integrazione il fatto che un bambino partecipi alle attività di gruppo, da non vedere di buon occhio se cerca spazi isolati in cui rifugiarsi. Riflettendo però su tutte le richieste più o meno esplicite che si rivolgono ai bambini nel corso dell’inserimento, in cui gli ambienti, la lingua e i compagni necessitano un grande sforzo di adattamento, non dovremmo tanto sorprenderci che qualcuno di loro manifesti ogni tanto il desiderio di sottrarsi a questa fatica e stare in disparte. Altre volte questo bisogno si manifesta in una chiusura nei confronti della comunicazione verbale: situazioni di mutismo in bambini non italofoni meritano lo stesso rispetto e vanno il più delle volte considerate fasi transitorie che si risolvono spontaneamente quando il bambino si sentirà sicuro.

Costruiamo il nostro rifugio

Consapevoli di questa necessità abbiamo quindi deciso di costruire una vera e propria tana in sezione. La progettazione ha avuto inizio dalla riflessione su cosa significhi la parola rifugio e dall’ascolto dalle esperienze dei bambini che avevano visto tane di animali. “Le talpe fanno la tana sotto terra” dice Diego e Leonardo aggiunge: “gli animali nei boschi coprono la tana di foglie perché non si deve vedere”. Abbiamo quindi preso un grande scatolone, di dimensioni sufficienti a contenere due o tre bambini, l’abbiamo colorato con tempera marrone come il fango e abbiamo completato incollando all’esterno foglie e rami di carta.

Una tana per giocare insieme

Appena pronta i bambini hanno cominciato ad entrarci da soli ma anche in coppia. Spesso infatti il primo passaggio da una situazione di ritiro all’apertura verso il gruppo avviene con la mediazione di un compagno e con il gioco a due. La contrattazione sui turni per accedervi e le regole di utilizzo hanno potenziato gli scambi verbali e sono state occasioni di confronto tra pari. All’adulto è rimasto come sempre l’importante compito di osservare: cosa accada nella tana può restare un mistero e avvicinandosi si potranno sentire solo l’eco dei dialoghi e delle risate che provengono dal suo interno. Saper tollerare che qualcosa succeda fuori dal controllo diretto è educativo anche per l’insegnante e trasmette al bambino un senso di fiducia. Dentro i confini della tana  può ritagliarsi uno spazio autonomo, separato dagli altri, dove potersi concentrare su di sé: ciò rinforza in lui la consapevolezza della propria interiorità, presupposto per lo sviluppo dell’autonomia psichica. Accade che nella tana vengano portati oggetti e materiali: oltre al senso di protezione, i bambini possono godere anche nel riprogettare il luogo dove andarsi a rifugiare. La tana può trasformarsi nella caverna di un mostro o in un tunnel segreto. Ecco quindi che al gioco educativo di nascondersi ed essere ritrovato si alterna un gioco simbolico e di immaginazione in cui si inventano storie e ruoli da interpretare, ... dentro e fuori la tana.

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