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Se una scuola da sempre accogliente non può accogliere

Una scuola inclusiva in difficoltà riporta l’attenzione sulla necessità che ogni istituzione (Comune, Ufficio scolastico ecc.) si assuma le proprie responsabilità in una prospettiva di integrazione. Di Gilberto Bettinelli. 

di Redazione GiuntiScuola05 dicembre 20175 minuti di lettura
Se una scuola da sempre accogliente non può accogliere | Giunti Scuola

“Considerata la capienza di tutte le classi non si accettano domande di iscrizioni tardive. Rivolgersi alla zona 9”
Con stupore leggo il cartello appeso sulla porta della scuola alla cui preside avevo chiesto un colloquio per parlare di che cosa fa effettivamente una scuola a proposito di accoglienza-integrazione-inclusione. Conosco quell’istituto comprensivo milanese e la sua preside, Laura Barbirato, da molti anni. Si tratta di una delle scuole più accoglienti e integrative della città, ne dà testimonianza il PTOF in cui il tema dell’interculturalità e del’inclusione nei loro vari aspetti viene trattato trasversalmente e sviluppato indicando azioni e programmi ben definiti, attuati grazie al costante reperimento delle risorse necessarie anche mediante la partecipazione a progetti nazionali ed europei. In effetti sono attivi laboratori di italiano L2, viene applicato un esaustivo protocollo di accoglienza, sono attivati progetti di tutoraggio. E' stata fatta la scelta di una funzione strumentale per l’integrazione e l’intercultura diversa dalle insegnanti facilitatrici che gestiscono i laboratori di italiano, questo per evitare il rischio, abbastanza frequente, di delega della questione a delle “specialiste” supportando inoltre la funzione strumentale con una commissione rappresentativa. Infine, cosa di grande importanza, uno dei plessi ospita la scuola delle mamme, gestita dall’associazione MAS : madri immigrate che frequentano corsi di italiano e laboratori mentre i figli piccoli zero-tre anni sono accolti in un attrezzato spazio bimbi.
L’istituto, composto da due scuole primarie e da una secondaria di primo grado, è situato in una zona ormai semiperiferica, un tempo piena di fabbriche e di residenza popolare ma da anni in trasformazione: nuovi insediamenti, tutt’ora in corso, di attività più “avanzate” e di residenza abitativa che hanno portato in quasi vent’anni al raddoppio delle classi dell’istituto, frequentato al 70% da figli di immigrati stranieri, in parte maggioritaria nati in Italia con casi già di terza generazione. “Ma quest’anno - mi dice Laura - una volta partito l’anno scolastico abbiamo avuto 50 richieste di iscrizione tardiva”. NAI e trasferimenti da altri luoghi. Segnali c’erano già stati lo scorso anno. Perciò lei ha cominciato a trasformare gli spazi laboratoriali in aule, poi ha riempito le classi, ha chiesto all’Ufficio scolastico provinciale classi in più fino a che è stato fisicamente possibile. “E poi ho cominciato a dire di no, sentendomi male a ogni negazione. Sono i miei alunni, abitano attorno alle mie scuole, che contraddizione rispetto ai nostri valori! Io penso che se vogliamo davvero includere i bambini, soprattutto quelli di origine immigrata, debbono frequentare la scuola di quartiere: qui nascono relazioni e amicizie che poi continuano fuori al parchetto, all’oratorio, per le strade, bambini e ragazzi si frequentano in autonomia perché si conoscono dalla scuola. La scuola è un propulsore di integrazione tanto più se c’è continuità con il suo territorio. Avremmo bisogno di più spazio ma nei tempi del calo demografico un nostro edificio è stato alienato, dato ad altri. Ora ne avremmo bisogno”.
Certo prima di tutto occorre garantire la frequenza scolastica anche inviando bambini e ragazzi in scuole fuori dal quartiere di residenza. Ma nasce un altro problema: anche queste scuole sono quasi sature e anche quando hanno ancora spazi non hanno chiesto l’istituzione di classi in più o non sono state concesse. “E dire che vediamo da anni sorgere nuovi edifici residenziali, non è difficile immaginare un aumento di popolazione anche scolastica”. Sembra dunque che sia mancata una previsione e una programmazione territoriale da parte dei competenti uffici dell’amministrazione comunale, che sia mancato un coordinamento previsionale e programmatorio fra istituti scolastici, ufficio scolastico provinciale, comune. “Ho chiesto un tavolo permanente di coordinamento, speriamo di non trovarci ancora in questa situazione il prossimo anno”, dice Laura. Non è possibile agire sempre e solo a valle, quando i fenomeni insediativi si riversano sulla scuola come un torrente in piena. Per far sì che “le scuole colorate non si trasformino in scuole nere” occorre un impegno costante, giorno per giorno, guai a mollare ma non dipende solo da una singola scuola, per quanto bene gestita, organizzata e inclusiva, che dà risposte a bisogni e richieste di tutti gli alunni e delle loro famiglie.
E, a proposito della realtà colorata delle sue scuole e di esiti e risultati, ho chiesto a Laura come agisce con i docenti. Annualmente, scherza, faccio in collegio il discorso sullo stato dell’unione. Presentiamo e discutiamo i dati sulle nazionalità presenti (ben 33 quest’anno), le problematiche, i progetti di integrazione e di educazione interculturale. Discutiamo poi gli esiti delle prove INVALSI. E come sono i risultati? Nella media dell’Italia settentrionale sia per italiano che per matematica, anzi nella secondaria di primo grado abbiamo risultati anche di eccellenza in matematica (ci sono molti cinesi nell’istituto, dice Laura…). Il dato che ci conferma nel proseguire il nostro lavoro è il miglioramento evidente degli esiti dalla seconda primaria alla terza media: vuol dire che noi indiciamo!
E di quei 50 che né è stato? “Oh, li ho collocati tutti anche con soluzioni creative nelle nostre classi e nelle scuole viciniori”. Non avevo dubbi. Quel cartello è dunque un atto politico? “Sì. Ti pare che lasciavo senza scuola i miei alunni”.
Quando si dice il caso. Sulla metropolitana che mi riporta a casa incontro una vecchia conoscente in veste di nonna, accompagna la nipote undicenne ai boyscout. E’ appena uscita da scuola alle ore 16,30. Quale? La Maffucci. Conosco la preside, le ho appena parlato. Ah, la Barbirato, mi dice. La bambina si trova così bene! Che buona scuola è!

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