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Se l’incontro con l’altro crea disorientamento, quali fattori di protezione?

Per i bambini e i ragazzi delle nuove generazioni il confronto può tradursi in vulnerabilità. Quattro fattori possono essere elementi di protezione. Di Giovanna Masiero e Maria Arici

di Redazione GiuntiScuola28 marzo 20186 minuti di lettura
Se l’incontro con l’altro crea disorientamento, quali fattori di protezione? | Giunti Scuola

Reduci dal Festival delle Lingue di IPRASE , promosso dal MIUR, dalla Provincia autonoma di Trento e dal Comune di Rovereto con il patrocinio della Commissione europea, rileviamo come lo spazio di riflessione dedicato all’italiano L2 e all’italiano lingua di scolarizzazione sia sempre più ampio e partecipato, e come questo porti ad aggiungere alla lista delle lingue maggiormente praticate (inglese e tedesco in primis) altre sintassi e altri suoni.

Le scuole praticano quotidianamente un incontro/scontro con l’alterità . Come sottolinea Rosella Benati, responsabile del Centro per il plurilinguismo e l’integrazione (una cooperazione tra l’Università di Colonia, il Comune di Colonia e il Dipartimento regionale scolastico del Nord Reno-Vestfalia) “sarebbe un errore non sfruttare le diverse competenze linguistiche e culturali e integrarle nella biografia scolastica di ogni alunno”. Si tratta di far leva su competenze chiave per provare ad abbattere quelle barriere che le paure fanno ergere . “Raccontare una storia o una favola, leggere una filastrocca o uno scioglilingua o cantare una canzone dell’area culturale di bambini con altre lingue o culture, aiuta a costruire una positiva identità culturale e favorisce la convivenza", conferma Rosella Benati.
Ma in che senso sarebbe un errore? In che modo ignorare le differenze in nome di un’assimilazione o stigmatizzarle marcando dei confini possono essere degli ostacoli a una costruzione positiva della propria storia?

Non riportare l’ignoto al noto

Ci facciamo accompagnare da una psicologa esperta in transculturalità per trovare risposte a queste domande. Talia Lerin , questo è il suo nome, esercita in Francia, un Paese a cui è sempre interessante guardare perché ci permette un confronto senza sentirci coinvolti in prima persona. Se non fossimo già allenati a “non riportare l’ignoto al noto" potremmo presupporre che Talia possa essere il diminutivo di Italia o avere una qualche connessione con il dialetto siciliano; e che il cognome Lerin sia invece decisamente veneto, o forse friulano. E invece Talia è di nazionalità messicana, ma con radici italiane, un métissage culturale come si direbbe in Francia.
Il “non riportare l’ignoto al noto” è una delle modalità per elaborare il contro-transfert culturale (concetto coniato da Devereux ), cioè, come spiega Talia, la somma di tutte le reazioni emozionali consce o inconsce che emergono tra persone provenienti da culture diverse. I viaggi, gli incontri, le esperienze in altri sistemi educativi sono tutte possibili esperienze che favoriscono questa prima modalità del decentramento culturale. L’altra modalità, prosegue Talia, è la capacità di prendere coscienza e di elaborare la propria alterità transculturale e inconscia dato che, per poter accogliere la diversità dell’altro, bisogna aver prima fatto un’elaborazione della propria alterità.

Scoprirsi fragili

Il concetto di contro-transfert culturale non è né buono né cattivo in sé, ma in un’immagine potremmo dire che occupa quella zona “tenera” in cui trovano forma i nostri giudizi e pregiudizi, e le discriminazioni, colpevolizzazioni e proiezioni che attiviamo quando ci confrontiamo con la diversità culturale. Tutti questi tipi di situazioni di confronto sono potenzialmente angoscianti ed è per questo che ce ne difendiamo.
Ricerche svolte da Marie Rose Moro e dalla sua équipe, di cui Talia Lerin fa parte, evidenziano come le seconde generazioni siano in particolare esposte al rischio di scoprirsi “fragili” in questo confronto tra culture diverse: né di qua né di là, né di questo posto né di un altrove. I periodi di maggiore vulnerabilità coincidono di solito con i momenti di passaggio: la nascita, l’entrata alla scuola e l’iniziazione agli apprendimenti della lingua scritta e matematici, l’adolescenza. Ma perché questa specifica vulnerabilità nelle seconde generazioni?
Per costruirsi a livello psicologico, i figli di genitori migranti devono tenere ben separati i mondi di appartenenza e proprio questa scissione rappresenta un fattore di vulnerabilità. Gli altri fattori sono la mancata della trasmissione familiare (segreti, non detti, assenza di racconti) e la presenza di traumi familiari.

Quattro fattori di protezione per le nuove generazioni

Ogni forma di vulnerabilità possiamo però vederla in due modi: come rischio di disagio o come possibilità di far fronte alle sfide. Nel suo polo positivo, la vulnerabilità ha a che fare con le azioni di resilienza messe in atto dai bambini come elementi di protezione.
Un primo elemento di protezione è quello dei cosiddetti “passatori” o traghettatori di frontiere, o ancor meglio iniziatori. L’incontro con figure in grado di accompagnare questo andirivieni tra i due mondi, di accogliere, tradurre, spiegare e creare ponti è un elemento chiave del percorso identitario. Riusciamo a immaginare quanto maestri e professori possano in potenza essere “passeurs” per i propri alunni?!
Il secondo elemento di protezione sta nella trasmissione e nella valorizzazione delle lingue e del sapere familiare e culturale. E qui va sottolineato come nell’approccio transculturale a tutte le culture è dato lo stesso valore, in quanto tutte si eguagliano nella funzione di offrire una griglia di lettura del mondo.
Da ciò ne consegue la necessità di non gerarchizzare il rapporto tra lingue, culture e saperi e il forte valore dato al plurilinguismo: altri due fattori di protezione importanti.
Infine, un altro elemento che protegge è la mescolanza, quel contatto creativo che genera spontaneamente nuove forme per co-esistere, stare insieme e costruire appartenenze.

Come possiamo servirci della cultura e delle lingue per una buona convivenza?

Concludiamo con questa domanda, sapendo che in molte scuole si stanno già sperimentando percorsi che fanno leva su elementi comuni, gli universali culturali, per costruire relazioni di fiducia reciproca. Su questo fronte il Festival delle Lingue è stato ricco di stimoli e pensiamo perciò che esso rappresenti una preziosa occasione di scambio e approfondimento a cui parteciperemo anche il prossimo anno.

Qualche lettura per approfondire:

https://www.transculturel.eu/marierosemoro/In-italiano_a261.html
http://www.theses.fr/s134599
https://orcid.org/0000-0002-7925-8084

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