Che cos’è il “modello valenziale”?

Del modello valenziale come approccio all’insegnamento della grammatica si parla molto, e non sempre correttamente. Facciamo un po’ di chiarezza

di Maria Giuseppa Lo Duca11 settembre 20159 minuti di lettura
Che cos’è il “modello valenziale”? | Giunti Scuola
 
 
 
Mi è capitato spesso, in questi ultimi anni, di ricevere da più parti sollecitazioni a illustrare il modello valenziale nell’approccio scolastico alla grammatica dell’italiano. Ne ho infatti parlato spesso in numerosi corsi di aggiornamento o seminari ristretti per insegnanti, di alcuni dei quali è rimasta traccia in pubblicazioni a stampa o su DVD. Ne ho scritto anche su "La Vita Scolastica" in più occasioni, ma il tema continua a essere attuale, anche perché adesso abbiamo almeno due ragioni in più per continuare a occuparcene: i rimandi, più o meno espliciti, di alcuni documenti ufficiali al modello, e l’ utilizzo scorretto che talvolta se ne fa a scuola.

Quanto ai documenti ufficiali, Ne analizzerò due: le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (versione 2012), che costituiscono, o dovrebbero costituire, costante punto di riferimento e di orientamento dei docenti; il Quadro di riferimento della prova di Italiano (versione 2013) dell’INVALSI, in cui si delineano “i punti di riferimento concettuali”, oltre che “i criteri operativi utilizzati nella costruzione della prova di italiano per i vari livelli scolari oggetto delle rilevazioni”, tra i quali, come si sa, sono a tutt’oggi la II (ma è aperto il dibattito se spostare la prova in III) e la V Primaria. Cosa c’entrano questi due documenti col modello valenziale? C’entrano, e lo vedremo subito. Cominciamo dal primo.La grammatica nelle Indicazioni nazionali

Nel delineare il quadro generale della scuola del primo ciclo, all’interno della disciplina chiamata “Italiano”, trova spazio, tra gli altri, un paragrafo dal titolo Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua . In questo paragrafo, elencando gli “oggetti” specifici su cui si potrà/dovrà esercitare la riflessione degli allievi , si fa menzione delle “strutture sintattiche delle frasi semplici e complesse (per la descrizione delle quali l’insegnante sceglierà il modello grammaticale di riferimento che gli sembra più adeguato ed efficace)”.
Vorrei far notare l’importanza di quanto si dice tra parentesi: ben consapevoli dell’esistenza, nel panorama scientifico contemporaneo, di più modelli di riferimento che hanno descritto la lingua italiana da angolature differenti, pervenendo a delle ricostruzioni in tutto o in parte diverse, gli estensori del documento non prendono posizione su questo specifico e delicatissimo punto, su cui ha detto la parola definitiva l’art. 33 della nostra Costituzione (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”). È ovvio dunque che non viene fatta in proposito nessuna esplicita scelta di campo.

E tuttavia, tra gli Obiettivi di apprendimento al termine della classe terza della scuola primaria troviamo elencato, tra gli altri, un indice grammaticale che recita: “Riconoscere se una frase è o no completa, costituita cioè dagli elementi essenziali (soggetto, verbo, complementi necessari)”. Non si dice nulla di più, ma il fatto stesso di introdurre la categoria dei “ complementi necessari ” rimanda senza ombra di dubbio al modello valenziale. È solo questo modello, infatti, che distingue tra complementi necessari (o argomenti/valenze) e complementi facoltativi (o circostanziali/espansioni): i primi sono necessari a rendere “completa”, e dunque grammaticale, una frase, i secondi no. E infatti *Maria ha portato o *Maria andava non sono frasi grammaticali (questo il significato dell’asterisco) perché non rappresentano adeguatamente un evento mancando dei completamenti necessari. I quali sono nel primo caso un complemento diretto, nel secondo un complemento indiretto, cioè introdotto da preposizione. Nel modello tradizionale questa distinzione non esiste, e tutti i complementi sono uguali, appiattiti ed elencati in lunghe liste spesso divergenti.

Negli Obiettivi da raggiungersi al termine della classe V , il rimando al modello valenziale si fa ancora più esplicito: “Riconoscere la struttura del nucleo della frase semplice (la cosiddetta frase minima): predicato, soggetto, altri elementi richiesti dal verbo”. Qui ci sono molte spie del fatto che l’estensore del testo pensasse al modello valenziale: prima di tutto la parola “nucleo”, spiegata con l’espressione tra parentesi “la cosiddetta frase minima”, a sua volta definita come una sequenza di predicato (si noti: in prima posizione), soggetto e “altri elementi richiesti dal verbo”. Nel modello valenziale, infatti, una frase minima, detta più spesso nucleare, ruota intorno al predicato, il quale determina il numero degli elementi (argomenti) necessari alla rappresentazione linguistica dell’evento evocato.

In questo modello anche il soggetto è un argomento del verbo, sia pure un argomento un po’ speciale perché concorda con il predicato. Dunque la scelta di campo del documento ministeriale mi pare chiarissima, anche se sono accuratamente evitate le parole più tecniche e presumibilmente meno note del modello. In più la formulazione tenta di ‘mitigare’ – con le parole (“cosiddetta”) e con scelte grafiche particolari (la parentesi, il corsivo) – una scelta teorica forte che a me pare evidente, ma che si ritiene, per ragioni di opportunità, di non dover dichiarare.

 

Il Quadro di riferimento della prova d’italiano nelle Prove INVALSI

Anche l’INVALSI, nell’illustrare contenuti e modalità di quella parte della prova di italiano dedicata alla grammatica, dichiara che, di fronte alla “pluralità di modelli teorici” cui si fa oggi riferimento nella descrizione delle lingue, non è suo compito “indicare un modello da privilegiare rispetto ad altri”. La scelta adottata nella formulazione delle domande è dunque quella “di fare riferimento, in linea di massima, ai contenuti più noti e condivisi, introducendo però anche alcuni dei contenuti innovativi più assodati nel mondo della ricerca ”.
Quest’ultima ammissione trova conferma più avanti nel documento, laddove compare un richiamo molto esplicito al modello valenziale. Nell’elencare i principali ambiti grammaticali su cui vertono i quesiti, sotto la voce “Sintassi” a un certo punto si nomina la “frase minima”, che si ritiene opportuno spiegare con una apposita nota: “Per frase minima si intende una frase costituita dal verbo e da tutti i suoi ‘argomenti’, cioè complementi necessariamente richiesti dal suo significato, ad esempio: Piove; Il gatto dorme; Il papà compra il giornale; Mia cugina abita a Cagliari; La zia ha regalato la bicicletta al nipote”. Come si vede la parola ‘argomenti’, riportata tra virgolette, viene prima spiegata, poi esemplificata attraverso ben 4 frasi di diversa struttura: una frase del tutto priva di argomenti ( Piove ), con verbo zerovalente; una frase con un solo argomento, il soggetto ( Il gatto dorme ) con verbo monovalente; due frasi con due argomenti, il soggetto e l’oggetto diretto la prima ( Il papà compra il giornale ), il soggetto e l’oggetto indiretto la seconda ( Mia cugina abita a Cagliari ), dove i verbi coinvolti sono bivalenti; infine una frase con tre argomenti ( La zia ha regalato la bicicletta al nipote ) con verbo trivalente. E anche più avanti, tra gli elementi della frase semplice (anch’essa spiegata e esemplificata in nota), si parla, oltre che di soggetto e predicato, anche di complementi obbligatori e facoltativi. Ce n’è quanto basta per dire che anche l’INVALSI si muove, pur con tutte le cautele del caso, nella direzione del modello valenziale, e che dunque anche nelle domande formulate nelle prove ci può essere traccia (come infatti c’è) di questo modello.

 

Che cosa fare a scuola

E la scuola? Ha colto questi segnali? A giudicare da qualche libro di testo e da qualche quaderno (con annessi esercizi) che ho avuto modo di sfogliare, sembrerebbe di sì, che qualcosa, sia pur timidamente, si sta muovendo. Ma attenzione: non basta sostituire la parola ‘complemento’ con la parola ‘espansione’ per essere sulla buona strada , in quanto non tutti i complementi sono espansioni: non lo sono il complemento diretto o oggetto, e tutti i complementi indiretti che sono argomenti del verbo, quindi necessari a rappresentare compiutamente l’evento.
Chiamare qualcosa, qualunque cosa, ‘espansione diretta’ è un controsenso, perché l’oggetto diretto è sempre un argomento (complemento necessario) e mai un’espansione (complemento facoltativo). Invitare i bambini, come mi è capitato di leggere, a lavorare “sugli elementi fondamentali della frase: soggetto, predicato e complementi” significa dire cose imprecise o, peggio, scorrette. I complementi non sono tutti ‘elementi fondamentali’ della frase, e imparare a distinguere tra di essi è uno dei maggiori contributi che il modello valenziale ha dato all’analisi linguistica.

 

Per saperne di più

 

Bibliografia essenziale

  • Lo Duca M.G. (2006). 1. La frase minima o nucleare nel modello valenziale 2. Ampliamenti del nucleo: i circostanti del nucleo e le espansioni, in Insegnare italiano. Modelli per lo studio della lingua , responsabili F. Sabatini e C. Angotti, Accademia della Crusca - Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, DVD 1, DVD 2, Firenze.
  • Lo Duca M.G. (2009). La frase, tra lingua comune e grammatica, in “La Vita Scolastica”, n. 5, pp. 20-22.
  • Lo Duca M.G. (2010). Il verbo? È un piccolo dramma, in “La Vita Scolastica”, n. 15, pp. 15-17.
  • Lo Duca M.G. (2010). Nucleo ed espansioni, in “La Vita Scolastica”, n. 5, pp. 18-20.
  • Lo Duca M.G., Provenzano C. (a cura di) (2012). A partire dalla frase… Sillabo di riflessione sulla lingua per la scuola Primaria e Secondaria di I grado, Provincia Autonoma di Bolzano, Alto Adige, Bolzano.
 
 
 
 
 
Scuola primariaItaliano

Dove trovi questo contenuto

Potrebbero interessarti