La relazione allievo-scuola-genitore

Il colloquio insegnante-genitore-allievo - "Pillole" per cominciare bene

La musica fa bene, prima e dopo la nascita

Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Le piccole-grandi cose sopracitate stanno facendo sentire Paolo molto meglio, anche se il nostro viaggio insieme sarà ancora lungo. Spero tanto, un giorno, che possa raccontarmi di aver preso un microfono e cantato a squarciagola con un bel gruppo di amici, ma intanto credo sia importante ciò che già mi ha detto: «Forse non è giusto che diventi come i Måneskin, perché loro sono i Måneskin e non me. Io voglio diventare Paolo».

Il percorso con Paolo non è iniziato da molto, ma già sono successe almeno due cose importanti. La prima è che adesso non è il solo a sapere di avere una parte di sé così apparentemente lontana da quella che, quotidianamente, porta nel mondo. Già questo per lui è stato un bel sollievo: per quanto “scomposta”, quella parte di lui non ha suscitato in me la reazione avversa, o ancor peggio espulsiva, che si sarebbe aspettato. Tutt’altro: ho incoraggiato Paolo a provare a scrivere testi in cui parlare di questo suo tormento interiore. Per ora me ne ha portato uno, dal titolo Un ragazzo imbalsamato, che mi ha fatto venire i brividi per la sua intensità. Veniamo alla seconda. Un giorno Paolo mi ha raccontato che per lui gli occhi degli altri hanno la forma dei tentacoli di una piovra enorme, pronta a soffocarlo: voleva che lo aiutassi a «trovare l’arte marziale giusta per sfruttare a proprio vantaggio la forza dell’avversario». Già, perché per Paolo gli altri erano solo avversari. Gliel’ho fatto notare, suggerendogli che magari in alcuni casi gli altri possono essere alleati. Del resto, i Måneskin sono una band! Quest’ultima argomentazione lo ha profondamente convinto e adesso stiamo scegliendo con chi provare “ad allearsi” tra i vari compagni di classe.

L'inizio del nostro percorso insieme

«Chissà che cosa penseranno gli altri. Chissà che cosa diranno. Meno ti metti in mostra e meglio è»

Il "contegno" e i desideri

L'attenzione alle apparenze

Paolo viene da una famiglia molto attenta alle apparenze sociali. I genitori hanno origini alto-borghesi e mantengono da generazioni relazioni importanti con le figure di spicco della loro città. I parenti che non si sono conformati agli standard familiari sono stati banditi e citati come monito. In particolare, il fratello della madre pare che avesse problemi di ludopatia e, più in generale, che fosse amante degli eccessi. Paolo non l’ha mai conosciuto, perché appunto i rapporti con lui sono stati rotti malamente, ma sa bene che per tutta la sua infanzia il nome dello “zio Roberto”, soprattutto da parte dei nonni, era utilizzato alla stregua di “lupo cattivo”.

Paolo (nome di fantasia), durante il nostro primo incontro, per spiegarsi mi fa sentire la canzone dei Måneskin che ha vinto il festival di Sanremo,
 
 Zitti e buoni
 
 , canticchiando insieme al gruppo il ritornello: «Sono fuori di testa / ma diverso da loro!». Alla fine mi dice: «Ecco, così vorrei essere. E invece…».
 
 E invece Paolo, in effetti, non assomiglia ai Måneskin. Ha le spalle un po’ ricurve e appare timido, schivo, chiuso, vestito in modo neutro: quasi sembra volersi nascondere dietro se stesso. Lo dice lui per primo: «Sono diciotto anni che quando mi trovo davanti ad altre persone spero solo di trasformarmi il più in fretta possibile

Paolo (nome di fantasia), durante il nostro primo incontro, per spiegarsi mi fa sentire la canzone dei Måneskin che ha vinto il festival di Sanremo, Zitti e buoni, canticchiando insieme al gruppo il ritornello: «Sono fuori di testa / ma diverso da loro!». Alla fine mi dice: «Ecco, così vorrei essere. E invece…».E invece Paolo, in effetti, non assomiglia ai Måneskin. Ha le spalle un po’ ricurve e appare timido, schivo, chiuso, vestito in modo neutro: quasi sembra volersi nascondere dietro se stesso. Lo dice lui per primo: «Sono diciotto anni che quando mi trovo davanti ad altre persone spero solo di trasformarmi il più in fretta possibile nel soprammobile meno in vista della stanza». Ma non si sopporta più, perché il Paolo soprammobile, quello con cui certamente tutti lo identificherebbero, è soltanto una parte di lui. L’altra, a tutti sconosciuta, mi racconta essere simile ai Måneskin: vorrebbe urlare, vestirsi come loro, truccarsi, non avere paura del giudizio, non sentirsi in colpa di mostrare il suo carisma, non dovere per forza essere modesto, gradevole, garbato. I Måneskin sono praticamente suoi coetanei e dallo schermo ogni giorno gli gridano quanto avrebbe potuto osare e divertirsi. Confrontandosi con loro, ma soprattutto con se stesso, mi confessa di aver deciso di parlare con una psicoterapeuta perché ha capito di essere «imbalsamato». Fin dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incrociati, effettivamente, ho avuto l’impressione che Paolo mi stesse chiedendo di procedere come Michelangelo, aiutandolo a tirare fuori la sua figura dalla pietra grezza nella quale sente di essere intrappolato.

Paolo (nome di fantasia), durante il nostro primo incontro, per spiegarsi mi fa sentire la canzone dei Måneskin che ha vinto il festival di Sanremo, Zitti e buoni, canticchiando insieme al gruppo il ritornello: «Sono fuori di testa / ma diverso da loro!». Alla fine mi dice: «Ecco, così vorrei essere. E invece…». E invece Paolo, in effetti, non assomiglia ai Måneskin. Ha le spalle un po’ ricurve e appare timido, schivo, chiuso, vestito in modo neutro: quasi sembra volersi nascondere dietro se stesso. Lo dice lui per primo: «Sono diciotto anni che quando mi trovo davanti ad altre persone spero solo di trasformarmi il più in fretta possibile nel soprammobile meno in vista della stanza». Ma non si sopporta più, perché il Paolo soprammobile, quello con cui certamente tutti lo identificherebbero, è soltanto una parte di lui. L’altra, a tutti sconosciuta, mi racconta essere simile ai Måneskin: vorrebbe urlare, vestirsi come loro, truccarsi, non avere paura del giudizio, non sentirsi in colpa di mostrare il suo carisma, non dovere per forza essere modesto, gradevole, garbato. I Måneskin sono praticamente suoi coetanei e dallo schermo ogni giorno gli gridano quanto avrebbe potuto osare e divertirsi. Confrontandosi con loro, ma soprattutto con se stesso, mi confessa di aver deciso di parlare con una psicoterapeuta perché ha capito di essere «imbalsamato». Fin dal primo momento in cui i nostri occhi si sono incrociati, effettivamente, ho avuto l’impressione che Paolo mi stesse chiedendo di procedere come Michelangelo, aiutandolo a tirare fuori la sua figura dalla pietra grezza nella quale sente di essere intrappolato.

Diverso da loro

L’attenzione a mantenere “pulito” il nome della famiglia sembra essere sovraordinata a qualsiasi altra cosa. Per i genitori, in particolare, è importante avere un certo “contegno”: Paolo mi parla di questa parola come di un mostro che lo ha inseguito per tutta la sua vita. Si ricorda che alla scuola materna una volta fece un disegno particolare, che le maestre esaltarono molto. All’uscita corse verso il padre sventolandolo e urlando «Hanno detto che è bellissimo!», ma il padre glielo strappò di mano e se lo mise velocemente in tasca, facendogli cenno di stare zitto: “contegno”. Si ricorda che quando giocava a calcio all’interno della scuola primaria, intorno agli otto anni, durante una partita fece un gol molto difficile. Allora, imitando i calciatori, iniziò a correre per tutto il campo mandando baci alle persone sulle tribune. Ma in quel momento incontrò lo sguardo della madre, spalancato, duro, che senza parole stava dicendo, ancora una volta, “contegno”. I giochi scalmanati erano vietati, così come saltare sul letto, suonare strumenti musicali diversi dalla tastiera (con le cuffie), sporcarsi troppo e, in generale, fare “cose scomposte”: «Chissà che cosa penseranno. Chissà che cosa diranno. Meno ti metti in mostra e meglio è». Paolo si ricorda, poi, che né i genitori né i nonni ebbero più bisogno di usare la parola “contegno”, dal momento che lui stesso ne era diventato l’incarnazione. Dalla fine della scuola primaria in poi si era trasformato nel bambino – e poi nel ragazzo – riservato e composto che ho conosciuto io. Molto bravo, molto amabile, molto lodato dai familiari, ma “a metà”. Dobbiamo ringraziare i Måneskin che, come una rivelazione, sono arrivati a ricordargli prepotentemente di non essere solo così. Di avere anche dei desideri.

Indicazioni e strategie per favorire la collaborazione tra scuola e famiglia

Registrazione | Psicologia e scuola

FAQ 15. La famiglia può chiedere di tenere nascosto il disturbo e applicare solo forme di tutela che non siano visibili o riconoscibili come tali dai compagni? (ed. PLUS)

Un ragazzo “imbalsamato”

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