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Quando le differenze sono una ricchezza
In che misura incide sui bambini il colore della pelle? Come possiamo aiutarli a valorizzare le differenze facendoli sentire importanti proprio perché diversi. Di Angela Maltoni.
La bellezza di essere tutti diversi
Recentemente, in una lettera di presentazione a dei nuovi “amici di penna”, i miei bambini hanno scritto: “Nella nostra classe siamo in quindici.
Ognuno di noi è diverso dall’altro e questa è una ricchezza
. Abbiamo lingue, culture e sfumature diverse e per questo impariamo l’uno dall’altro tante cose”. Questo breve passaggio mi ha dato la conferma che il difficile concetto della “bellezza di essere tutti diversi” è stato “digerito” e fa parte in qualche modo del loro bagaglio per la vita.
Raggiungere questo grado di
consapevolezza sul colore della pelle
– che loro, semplicemente, chiamano “sfumatura” –, non è facile e neppure scontato, soprattutto in una società come la nostra dove l’apparenza ha indubbiamente il suo peso. Anche in una scuola multiculturale come la mia, con un alto numero di bambini provenienti da paesi lontani, avere la pelle nera o particolarmente “ambrata” rappresenta ancora un bel fardello da portarsi dietro. Tanto che non è poi così raro sentire bambini – tra coetanei, nei corridoi o per le scale della scuola – che utilizzano, nella migliore delle ipotesi, termini tipo: “il nero della classe in fondo al corridoio…”.
Sfumature e non solo
Nel mio modo di intendere la didattica
il tema delle diversità e lo sguardo interculturale
– non solo quindi il colore della pelle ma anche la lingua, la cultura e gli usi – fanno da sfondo integratore a tutte le attività che svolgo. Fin dalla prima classe sono molteplici le proposte in questa direzione, perché ritengo che già da piccoli sia fondamentale che si accorgano e imparino a valorizzare le peculiarità di ognuno. Penso sia estremamente utile trattare questi argomenti anche per
dare risposte agli stereotipi degli adulti
, non essendo i bambini in grado di accorgersi di differenze anche notevoli perché ancora privi della capacità di giudicare l’altro dall’aspetto esteriore. Per loro i compagni di scuola sono soprattutto “amici” e non fa differenza se parlano una lingua diversa, sono chiari o scuri, rom o italiani.
Proprio questo è il “sale” di momenti anche divertenti. Nel rito quotidiano dei saluti, seduti in cerchio nell’angolo morbido si scambiano parole o scioglilingua nelle proprie lingue madri e chi non possiede una lingua diversa – come dicono loro, “parla solo in italiano” – chiede in prestito quelle degli altri. Anche le ricreazioni sono piene di
“conte” e giochi provenienti da paesi lontani
, in un continuo scambio e rimescolamento culturale, e quando si stringono le mani spesso riflettono sul loro colore e sulle molteplici e meravigliose “sfumature”.
Un momento molto delicato è stato l’arrivo, un paio di anni fa, di un nuovo compagno di origini africane. Fin da subito si sono palesate difficoltà, soprattutto da parte sua. Una cosa che mi ha fatto molto pensare, anche con un pizzico di preoccupazione, è stato l’autoritratto – in cui si raffigurava con la pelle candida – eseguito nei primi giorni d’inserimento. Ho pensato allora di proporre la lettura di un paio di libri che potessero, come prima cosa, metterlo a proprio agio verso gli altri bambini. Il primo è stato “Sai dirmi perché abbiamo la pelle di tanti colori diversi?”, di Sara Agostini, testo dal contenuto semplice e immediato, in cui viene spiegato anche dal punto di vista scientifico il perché delle variazione cromatiche della pelle.
Al termine della lettura sono state individuate sul planisfero le provenienze geografiche di tutti e ognuno ha poi cercato il colore adatto alla sua “sfumatura” posizionandolo sulla carta. Ne è scaturita una mappa variegata, simbolo dei colori della classe. Il libro ha anche “stuzzicato” una bella conversazione sulle diverse usanze culinarie, grazie alla quale sono venuti fuori piatti tipici dei loro paesi d’origine. Pur non potendone avvertire il profumo, veniva l’acquolina in bocca a sentire parlare di “empanada”, “cous cous” o “dolma”… E dopo la lettura di “Bambino di colore”, un racconto africano edito da Arka che ha fornito altri elementi per guardare gli altri con occhi diversi, finalmente anche l’ultimo arrivato ha deciso di disegnarsi con un bel color cioccolato fondente!
Libri per sfatare gli stereotipi
Come sempre, i libri sono lo strumento col quale mi piace stimolare le discussioni. La narrativa per l’infanzia offre diverse letture interessanti e coinvolgenti per affrontare stereotipi e velate forme di razzismo. Tra le più efficaci, oltre a “Un colore tutto mio” e “Piccolo blu e piccolo giallo” di Leo Lionni e
“Il camaleonte variopinto” di Eric Carle
(di cui ho già parlato in un precedente articolo), c’è
“Una cosa nera” di Emilio Urberuaga
, piccolo albo che attraverso le immagini rivela sentimenti e difficoltà proprie di chi ha un diverso colore. I bambini dopo la lettura hanno molto discusso e il gioco che ne è seguito è consistito nell’identificarsi nella piccola macchia attraverso la drammatizzazione.
Propongo sempre anche “
Il lupo che voleva cambiare colore”
, di Orianne Lallemand e Eléonore Thuillier – prima in francese e in maltese, perché individuino i colori nelle varie lingue, e solo successivamente in italiano –, dove il protagonista della storia è appunto un lupo che, scontento di essere nero, prova a “indossare” tutti gli altri colori fino ad arrivare alla conclusione che il suo in definitiva è il migliore. Il lavoro successivo, anche se può sembrare scontato, è stato quello di invitare i bambini a indicare non solo il loro colore preferito ma a pensare anche a quello che poteva identificarsi di più con le caratteristiche personali. Un altro libro letto in seconda, che è molto piaciuto e ha dato corpo a riflessioni belle e profonde, è
“Tea e tu di che colore sei?”
di Silvia Serreli.
Esercizi di empatia
In terza, lo spunto di riflessione è arrivato dalla lettura di “Un uomo strano” di Mats Letén, un libro che si presta anche a elementari esercizi di empatia. In questo caso i colori della pelle sono il rosa e il verde; tuttavia, come hanno osservato loro stessi, “per essere considerati diversi non serve essere neri”. L’esercizio che ne è seguito è consistito nell’immedesimarsi e nell’esprimere i propri stati d’animo cercando di mettersi nei panni dell’altro: apparentemente difficile da mettere in pratica, è risultato semplice nei fatti grazie alle intuizioni e alla loro spontaneità. E così la bambina con gli occhiali per via di un leggero strabismo li ha fatti provare a un compagno, mentre altri si sono cimentati a scrivere con la mano sinistra per capire come chi è mancino sia in difficoltà con le penne cancellabili che macchiano i fogli del quaderno. Ognuno, in definitiva, ha cercato i suoi punti deboli, li ha condivisi e fatti provare ai compagni.
Le difficoltà come punto di forza
In quarta e quinta le attività sono attente non solo al tema del colore della pelle o alle differenze linguistiche ma anche alle difficoltà fisiche o psicologiche. Proprio per questo negli ultimi anni di scuola primaria tratto in modo più esplicito le diversità. “Il giardino segreto” di Frances Hodgson Burnett – a cui, in seconda battuta, faccio seguire la visione del film - e
“Wonder” di R.J. Palacio
ben si prestano – grazie anche a una maggiore maturità dei bambini, che riescono più facilmente “a tirare fuori” – per parlare della sofferenza causata da “differenze” di tipo fisico. In questo ambito cerco sempre di farli riflettere sulle ragioni per cui non è giusto “essere gentili per pena”, quando invece ognuno deve essere accettato per quello che è, limiti compresi. Interessante è stata anche la lettura di
“Io non sono come gli altri”
, di Janik Coat, finalizzato a un’attività in cui ogni bambino ha potuto esprimere le sue caratteristiche, anche quelle più strane e meno comuni.
In un secondo momento la lettura è transitata attraverso libri in cui le parole sono affiancate alla comunicazione aumentativa:
“Cappuccetto Rosso
”, della collana Pesci Parlanti di Uovonero, alcuni esercizi in braille eseguiti anche grazie al bellissimo
“Il gioco di Andiamo”, di Hervé Tullet
e la visione di un video in linguaggio Lis che li ha sensibilizzati verso le difficoltà di alcuni coetanei.
Anche il solo fatto di essere consapevoli che
ognuno è più ferrato in alcune attività e meno in altre
risulta utile per valorizzare quel che siamo. Ricordo nello scorso ciclo scolastico un bambino con una rara malformazione agli arti superiori che veniva sempre aiutato dai compagni nella scrittura e al tempo stesso conteso per la sua abilità di palleggio durante le partite di basket. Di tutt’altro genere ma ugualmente interessante e positivo il pensiero di un mio alunno un po’ zoppicante nello scrivere in corsivo, che in un testo ha rivendicato: “Vorrei essere apprezzato per quello che scrivo e non per come lo scrivo”.