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Esami universitari

Come predisporre un piano di attivit&agrave;

M. Comoglio, M. A. Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative learning, LAS, Roma, 2000.

D. Johnson, R. Johnson, E. Holubec, Apprendimento cooperativo in classe, Erickson, Trento, 1996.

E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell&rsquo;insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano 2000.

Questi autori ci invitano a riflettere sul fatto che lavorare in gruppo non significa automaticamente e necessariamente lavorare meglio: alcuni modi di lavorare in gruppo possono facilitare lo studio e migliorare l&rsquo;apprendimento, altri invece possono ostacolarlo, creando insoddisfazione e demotivazione. Quindi, per utilizzare in maniera efficace l&rsquo;apprendimento cooperativo occorre innanzitutto sapere&nbsp; cosa &egrave; (e cosa non &egrave;) un gruppo di apprendimento. E, a questo proposito, &egrave; utile porsi la domanda: &ldquo;che tipo di gruppo sto usando?&rdquo;.

Il metodo di apprendimento cooperativo &egrave; un metodo &ldquo;a mediazione sociale tra pari&rdquo;, diverso dai metodi di apprendimento pi&ugrave; tradizionali &ldquo;a mediazione dell&rsquo;insegnante&rdquo;. In questi ultimi infatti, &egrave; l&rsquo;insegnante che si costituisce come fonte di conoscenza e di sapere, &egrave; lui a guidare le attivit&agrave;, a stabilire e valutare che cosa deve essere conosciuto, a fissare i ritmi di apprendimento, a suscitare la motivazione o a recuperarla, a facilitare e individualizzare/personalizzare l&rsquo;apprendimento.

Nei metodi &ldquo;a mediazione sociale tra pari&rdquo; le risorse e l&rsquo;origine dell&rsquo;apprendimento sono soprattutto gli allievi. Come chiariscono Comoglio e Cardoso (2000), gli studenti si aiutano reciprocamente e sono corresponsabili del loro apprendimento, stabiliscono il ritmo del loro lavoro, si correggono e si valutano, sviluppano e migliorano le relazioni sociali per favorire l&rsquo;apprendimento. L&rsquo;insegnante &egrave; soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell&rsquo;attivit&agrave; di apprendimento.

I riferimenti teorici del Cooperative Learning

Sono molti (e di natura interdisciplinare) i riferimenti teorici sui quali si &egrave; fondato nel tempo lo sviluppo dei modelli di Cooperative Learning. Possiamo citare la grande lezione di John Dewey (1859-1952) sulla scuola come comunit&agrave; democratica e come luogo di formazione alla socialit&agrave;, dove l&rsquo;allievo deve&nbsp; essere preparato a saper vivere con gli altri in modo democratico e non competitivo. Le ricerche psicologiche sui gruppi e la visione democratica del ruolo dell&rsquo;insegnante di Kurt Lewin&nbsp; (1890-1947), per il quale la forma culturale e l&rsquo;atmosfera psicologica che meglio favoriscono la strutturazione della personalit&agrave; sono quelle democratiche, che sviluppano nei membri del gruppo un forte senso di appartenenza e atteggiamenti collaborativi. Il legame tra interazione sociale e sviluppo intellettivo e l&rsquo;importanza dei fattori sociali che vengono sottolineati dalle ricerche del filosofo e psicologo americano George Herbert Mead (1863-1931) per il quale la mente e il s&eacute; sono un risultato di un processo sociale.

E ancora, gli studi del grande psicologo ed epistemologo svizzero Jean Piaget (1896-1980), per il quale la vita sociale &egrave; condizione necessaria allo sviluppo del pensiero e della logica e la cooperazione costituisce un processo generatore di ragione. Il pensiero di Lev Semenovic Vygotskij (1896-1934), che esalta il rapporto con i pari all&rsquo;interno di un gruppo di collaborazione per consentire ai membri di operare reciprocamente all&rsquo;interno delle proprie zone di sviluppo prossimo, ottenendo nel gruppo comportamenti e risultati pi&ugrave; avanzati di quelli conseguibili nelle normali attivit&agrave; individuali. Il concetto di &ldquo;interdipendenza positiva&rdquo; elaborato dallo psicologo sociale americano&nbsp; Morton Deutsch (1920), secondo il quale nelle situazioni collaborative la condivisione dell&rsquo;obiettivo comune diventa fattore propulsivo per la crescita e lo sviluppo tanto del singolo che dell&rsquo;intero gruppo. Per giungere poi agli studi dei fratelli David e Roger Johnson (1996) che hanno sviluppato&nbsp; il loro modello di apprendimento cooperativo.

Cosa &egrave; (e cosa non &egrave;) un gruppo di apprendimento

Per creare gruppi di&nbsp; Cooperative Learning formale non &egrave; sufficiente mettere insieme gli allievi e dir loro di lavorare insieme ma &egrave; necessario predisporre un piano di attivit&agrave; per un arco di tempo variabile da un&nbsp; mese ad&nbsp; un quadrimestre, avendo chiari gli argomenti che gli studenti possono affrontare in modo cooperativo e quali in modo individualistico, precisando che cosa devono fare e che cosa ci si attende da loro, comunicando in maniera esplicita gli obiettivi da raggiungere, la responsabilit&agrave; individuale all&rsquo;interno del gruppo e i criteri di valutazione e di giudizio.

E, in particolare, le modalit&agrave; di organizzazione del lavoro, concordando preventivamente quale strategia privilegiare:

<ul>
	<li>parallela/cooperativa (attraverso la quale ogni componente del gruppo lavora in autonomia su una parte specifica del prodotto complessivo, frazionando il lavoro in parti relativamente indipendenti, permettendo di procedere simultaneamente su diverse fasi, per ricomporre al termine un prodotto finale);</li>
	<li>sequenziale (ogni componente del gruppo, a turno, agisce sul &ldquo;semilavorato&rdquo; apportandovi il proprio contributo, aumentando il tasso di interazione tra pari, con l&rsquo;accettazione del cambiamento rispetto all&rsquo;idea iniziale dei soggetti);</li>
	<li>collaborativa (i componenti del gruppo lavorano in regime di forte interdipendenza di ognuna delle parti del prodotto complessivo. L&rsquo;interazione &egrave; alta ed &egrave; richiesta una costante rinegoziazione collettiva e riaggiustamenti delle impostazioni personali).</li>
</ul>

Riuscire a raggiungere, gradualmente, il livello di lavoro &ldquo;collaborativo&rdquo; aiuta il docente a qualificare il proprio intervento educativo favorendo una reale interdisciplinarit&agrave;, valorizzando le diverse capacit&agrave;, sostenendo la motivazione degli studenti e l&rsquo;inclusione delle &ldquo;diversit&agrave;&rdquo; (alunni con disabilit&agrave;, di diversi gruppi etnici, con pi&ugrave; alto potenziale, ecc.). Cos&igrave; come aiuta gli alunni ad assumere responsabilit&agrave; personali e collegiali, a maturare abilit&agrave; sociali, ad intessere relazioni positive e riconoscersi capace di contribuire al raggiungimento di risultati comuni, sperimentando concretamente quanto l&rsquo;apprendimento sia necessariamente dipendente dal contesto socio-relazionale di riferimento.

Interdisciplinarit&agrave; e collaborazione sono due prospettive dell&rsquo;azione didattica intrinsecamente connesse e interdipendenti. La metodologia dell&rsquo;insegnare e apprendere in situazione collaborativa, e all&rsquo;interno di uno sfondo inter-poli-trans disciplinare (riprendendo il pensiero di Edgar Morin), d&agrave; luogo ad un&rsquo;educazione &ldquo;ben fatta&rdquo; che forma teste &ldquo;ben fatte&rdquo; e risulta innovativa nella misura in cui continua ad affermarsi, in maniera significativa ed efficace, nel corso dei secoli e oltre le &ldquo;mode&rdquo; didattiche transitorie.

Gi&agrave; nel primo secolo, Quintiliano sosteneva che gli allievi potevano trarre beneficio dall&rsquo;istruzione dell&rsquo;uno con l&rsquo;altro, cos&igrave; come anche Seneca che affermava &ldquo;Qui docet, discet&rdquo; (&ldquo;colui che insegna, impara&rdquo;). Verso la fine del 1700, ad opera di Joseph Lancaster ed Andrew Bell, fu promosso l&rsquo;uso consapevole e strutturato di un modello di insegnamento/apprendimento cooperativo, impiegando gli allievi pi&ugrave; preparati in qualit&agrave; di &ldquo;sottomaestri&rdquo;, ciascuno dei quali, sotto la guida dell&rsquo;insegnante, si prendeva cura, con un ingegnoso sistema di divisioni, di un piccolo gruppo di scolari.

L’interdisciplinarità e la collaborazione