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L’emozione di un ritorno (sette anni dopo)

Un racconto esemplare sul perdersi e il ritrovarsi, sul rapporto tra scrittura e illustrazione, sullo “stupore” che produce una storia narrata. Di Lorenzo Luatti.

di Lorenzo Luatti05 maggio 20177 minuti di lettura
L’emozione di un ritorno (sette anni dopo) | Giunti Scuola

«Il segnale che mi indicava quando potevo rientrare era un piccolo fazzoletto bianco alla finestra, appeso dalla mamma naturalmente all’insaputa del ‘generale’! In realtà, io credo che lui abbia sempre saputo di questo piccolo stratagemma, ma ha sempre fatto finto di niente.»

Le ragioni di un ritorno

Se torno a parlare oggi, a sette anni dalla sua pubblicazione, di un “piccolo” bestseller qual è stato Il fazzoletto bianc o, racconto breve del poeta Viorel Boldis , illustrato da Antonella Toffolo ed edito dai Topipittori nel 2010, ci saranno pure delle buone ragioni.
La prima: mi è capitato recentemente di riproporlo ad un folto gruppo di insegnanti. Praticamente, nessuno conosceva quel testo. Possibile?
La seconda: Il fazzoletto bianco, in modo esemplare, ci conduce all’interno del rapporto tra testo e immagine, e dei meccanismi che regolano la narrazione. Perché, ad un certo punto, restiamo catturati e avvinti da un racconto?
La terza ragione: quella storia ne racchiude un’altra. È giunto il momento di svelarla ai lettori di “Sesamo”.

Un racconto sul distacco e il ritrovarsi

"A coloro che non conoscessero il libro dirò che il breve racconto è suddiviso in quattro tempi. Schematicamente, questi:
- l’infanzia bella e spensierata, ma anche molto semplice e dura, trascorsa in campagna tra le colline della Transilvania, dove il giovanissimo protagonista (voce narrante) impara a tagliare l’erba con la grande falce, porta a pascolare capre, mucche e bufali, va a scuola.
- Poi, un giorno, la decisione risoluta, ma in fondo combattuta, di partire, di andarsene via in cerca di un avvenire diverso. «Se vuoi andare, vattene, ma non guardare indietro, non avere rimorsi. Vattene per sempre» gli dice il padre (il “generale”), sopraffatto dalla rabbia e dalla tristezza.
- Passa un lungo periodo di silenzio, durante il quale nel giovane monta una insopprimibile tristezza e nostalgia, che dalla Padania lo ricondurrà a casa per una visita di riconciliazione. Timoroso e insicuro, il giovane scrive una lettera alla madre chiedendole di appendere alla finestra un fazzoletto bianco come segnale di benvenuto, come segnale di scampato pericolo, proprio come la donna faceva un tempo, quando lui, dopo aver combinato qualche ragazzata, per scappare dal padre un po’ manesco, si rifugiava a casa di amici.
- Sono trascorsi due anni dalla sua fuga. Decide di far ritorno. Nel giorno di Natale il giovane giunge al villaggio dei genitori. Non è più un ragazzo. Prosegue a piedi, con il cuore in gola, gli ultimi chilometri che lo separano dalla casa. Spera con tutte le sue forze di rivedere il fazzoletto bianco alla finestra. Ma la casa dei genitori non c’è più.

Nell’emozionante finale “a sorpresa” restiamo in trepidante attesa, temiamo il peggio, tutto sembra perduto, il giovane e noi con lui ci sentiamo sopraffatti dagli eventi, angosciati e storditi da una perdita insopportabile. L’atmosfera è sospesa, i tempi dilatati. Ma è un attimo, è un effetto ottico.

Testo e immagine: un connubio perfetto

Al lavoro di ricomposizione e di scavo nella memoria del narratore, corrisponde un sapiente lavoro dell’illustratrice volto a far emergere le figure dal nero della tavola: si produce, dunque, un parallelismo tra il testo scritto e la tecnica xilografica adottata.
Le immagini proiettano la narrazione testuale in una dimensione onirica, che nelle pagine finali, in cui il protagonista fa ritorno alla casa paterna, assume le forme di un sogno angoscioso: la paura di non essere riconosciuto e accolto.
Poiché dietro ogni partenza c’è una colpa, un tradimento e dietro ogni ritorno c’è una resa dei conti.

Perché questa lettura ci “emoziona”?

Perché, indipendentemente dall’esperienza di migrazione narrata e dai paesaggi descritti, la storia racconta frammenti di vita che ci appartengono: ciascuno di noi può riconoscersi e trovare un rispecchiamento nella propria esperienza. Il rapporto con i genitori, quella complicità con la madre e quei silenzi del padre, che reggono le ragazzate e le fughe adolescenziali del protagonista - per richiamare un passaggio paradigmatico al riguardo (e da noi riportato in epigrafe) -, in fondo risvegliano ed evocano situazioni e momenti comuni alla nostra esperienza, di figli e di genitori. Insomma, l’esperienza altrui, anche se apparentemente distante, ci parla, alla mente e al cuore.

La “vera storia” del fazzoletto bianco (di V. Boldis)

C’è una storia nella storia, c’è un supplemento d’emozione da raccontare ancora. È la “vera storia” del fazzoletto bianco che l’autore mi narrò nel 2010. E’ il frammento autobiografico da cui nacque quel testo. Ed è, soprattutto, per coloro che già conoscono il Fazzoletto bianco.

Avevo sui 10-11 anni e, come altre volte, sono dovuto scappare di fronte a mio padre.
Quella volta, invece, ero molto triste e arrabbiato con lui. Dissi a mia madre che non sarei più tornato, che me ne andavo via per sempre… Il segnale per il rientro non era un fazzoletto bianco, ma una candela. Quella sera me ne andai.
Naturalmente mia madre non aveva fatto troppo caso alle mie parole, e aspettava che io rientrassi dopo il segnale, come sempre. Invece io ero andato nella collina, nel bosco vicino... volevo rimanere là tutta la notte.
Da dove ero, riuscivo a vedere in lontananza il villaggio e anche la nostra casa. Sapevo che alla finestra mi aspettava la candela accesa, ma quella volta non volevo proprio rientrare.
Era ormai tardi, mezzanotte, quando, guardando verso la nostra casa, vidi... la casa in fiamme. Mi spaventai... mi dicevo che, forse per colpa della candela lasciata accesa per me, la casa aveva preso fuoco.
Allora mi precipitai verso casa, e quando arrivai vicino, compresi cos’era successo... avevano messo decine di candele dappertutto... e torce... mi cercavano disperati. Questo era successo.
Poi, più tardi, ho raccontato a mio nonno, al quale ero molto legato, quello che mi era successo, e lui, con le lacrime agli occhi, mi raccontò la storia del fazzoletto bianco, a lui raccontata da suo padre, quindi mio bisnonno. Insomma, il racconto era diventato realtà.

Ringraziamo Viorel Boldis per averne autorizzato la riproduzione su “Sesamo”.
Per un profilo dell’autore, si veda la bella autointervista a questo link .


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